AI, ovvero “intelligenza artificiale”. È forse uno dei temi più googlati di questo 2023.
L’intelligenza artificiale non è più fantascienza e nemmeno sperimentazione. Sta entrando sempre più nelle nostre vite – soprattutto nell’operatività di molte aziende – e rivoluzionerà sempre più il mercato del lavoro e la nostra quotidianità.
Ne siamo attratti, ma anche un po’ spaventati.
Se durante la rivoluzione industriale le macchine avevano iniziato a sostituire l’uomo nello svolgimento di alcune operazioni manuali, oggi si tratta di sostituirsi a noi per quanto riguarda lo svolgimento di attività mentali tra cui le decisioni.
Anche se il verbo “sostituirsi” è un po’ troppo ottimista.
L’intelligenza artificiale non va intesa come una riproduzione artificiale dell’intelligenza umana, quanto come una simulazione probabilistica del ragionamento del nostro cervello. E come ogni simulazione di probabilità, contiene in sé un certo margine di errore.
Esempi di errori commessi dall’intelligenza artificiale
L’azienda Zillow, un marketplace online di compravendita di immobili, dal 2018 ha iniziato ad affidarsi al sistema “Zestimate”, un’intelligenza artificiale in grado di stimare il valore degli immobili. Zillow comprava immobili, li ristrutturava e li rivendeva rapidamente. Ben presto, però, i dipendenti di Zillow si sono accorti che l’algoritmo aveva un tasso di errore medio dell’1,9%, che in alcuni casi poteva arrivare anche al 6,9%.
E soprattutto: era ignaro delle dinamiche sociali mondiali. Tra aprile 2018 e dicembre 2019 Zillow aveva acquistato 27.000 case, ma alla fine di settembre 2021 ne aveva vendute solo 17.000. Eventi imprevedibili come la pandemia covid-19 e la carenza di manodopera per la ristrutturazione delle case hanno contribuito ai problemi di precisione dell’algoritmo.
E a proposito di pandemia: nell’ottobre 2020 il servizio inglese sanitario (Public Health England – Phe) ha avuto problemi nella gestione dei dati dei pazienti covid proprio a causa di un errore nell’algoritmo del suo sistema di archiviazione. Phe utilizzava un processo automatizzato per trasferire i risultati di laboratorio sui pazienti positivi al coronavirus come file Csv in modelli Excel. Sfortunatamente, i fogli di calcolo Excel hanno un massimo di 1.048.576 righe e 16.384 colonne per foglio di lavoro. Inoltre, Phe elencava i casi in colonne anziché in righe. Quando i casi hanno superato il limite di 16.384 colonne, Excel ha tagliato tutti i successivi casi.
Il terzo caso (ma ce ne sarebbero a dozzine) ha dell’ironico, perché l’AI, anziché aiutarci, ha riprodotto una delle tante contraddizioni presenti nel nostro mondo del lavoro.
La vittima è stata Amazon. Da anni il colosso online statunitense sperimenta diversi algoritmi per aiutare il team Hr a selezionare i curricula dei migliori candidati. Nel 2014 sembrava che avesse trovato il migliore in un software basato sull’AI. C’era solo un problema: il software prediligeva di gran lunga i candidati maschi. Quando Amazon se n’è accorta, è stata costretta ad abbandonare il progetto.
L’intelligenza artificiale nel settore fintech
Anche il settore fintech sta tentando di implementare e ottimizzare ogni processo con l’AI.
Cosa ci insegnano tutti questi episodi?
Spesso guardiamo all’AI come qualcosa a cui delegare il nostro pensiero. È lei che pensa per noi, e noi abbiamo la tendenza a deresponsabilizzarci.
Inseriamo degli input di dati e lasciamo che la macchina calcoli per noi.
Lo facciamo tutti.
Ad esempio, ogni volta che saliamo in auto. “Quale strada devo fare?”, chiedo a Google Maps e mi lascio guidare.
Non c’è niente di male. Anzi, è molto utile. Ma spesso anche Google Maps commette alcuni errori. Potrebbe non sapere che una strada è stata appena chiusa per un qualche imprevisto o magari non è ancora stato aggiornato sull’apertura di nuove vie di comunicazione o non al corrente di un cambio di senso unico avvenuto la settimana prima da parte del Comune.
Allora è bene usare Google Maps, ma sempre con giudizio critico, verificandone l’attendibilità.
E così è per l’AI. Non è la panacea per ogni processo. Può aiutarci molto a ottimizzare un processo decisionale, a valutare opzioni a cui non avremmo pensato, a svolgere calcoli complessi in pochi secondi, ma poi serve sempre la nostra supervisione. A noi spetta l’ultima verifica e l’ultima decisione.
L’intelligenza artificiale non va vista come un sostituto del nostro cervello, capace di spegnere il nostro giudizio critico. Al contrario, dovrebbe essere utilizzata come uno strumento per amplificare la nostra possibilità di analisi e scelta, una sorta di facilitatore in grado di espandere la nostra facoltà di “brainstorming” e “problem solving”.
Conclusioni
La tecnologia evolve e il pensiero umano si sposta necessariamente su problemi e tematiche sempre più sofisticate, lasciando giustamente alle macchine lo svolgimento delle elaborazioni più semplici (che prima facevamo noi in prima persona). Come tutte le macchine, anche l’AI dovrà avere sempre un supervisore umano.
Messaggio per i “pensatori pigri”: mi spiace dovrete ancora usare il cervello.
Messaggio per i pensatori critici: ci sarà sempre più lavoro per voi.
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