Arca con il vento in poppa grazie al Made in Italy

Tempo di lettura: '
L'Ad di Arca Fondi Ugo Loser sgr spiega la strategia della società che da sempre crede nelle aziende d'eccellenza del bel paese - All'orizzonte una nuova ondata di cartolarizzazioni
“C'è una parte di economia veramente eccellente ed una parte molto sofferente, tra cui includo lo Stato con il suo alto debito e le scorribande dello spread. Spesso ci si sofferma soltanto su quest'ultima. Noi non l'abbiamo fatto. Nel 2013 abbiamo presentato la nostra strategia sull'economia reale del Paese. I rendimenti che abbiamo realizzato sono decisamente molto significativi, come ad esempio Arca Economia Reale Equity Italia, che nel 2017 ha realizzato una performance superiore al 30 per cento, battendo inoltre il benchmark di riferimento“.

Inizia con questa solida constatazione l'intervista all'amministratore delegato di Arca Fondi Sgr, Ugo Loser. La sua società di gestione è quella che, nel panorama dei gestori, ha più creduto nel made in Italy e da oltre 25 anni – da quando è partito il primo fondo specializzato - è quella che maggiormente investe nelle imprese della penisola. Qual è il segreto della loro forza, della loro “resilienza”, come si dice oggi? In Italia abbiamo sviluppato un modello dove c'è una fortissima specializzazione in parti della catena produttiva, in settori di nicchia, dove la creatività e la mancanza di sistema in realtà rappresentano un vantaggio e non uno svantaggio.

Torniamo alla vecchia teoria del “piccolo è bello”?
No, espandersi in un modello più integrato con una dimensione d'impresa più grande fa si che fenomeni come la burocrazia, la corruzione - attualmente rappresentano un costo competitivo per il nostro sistema - siano meno presenti.

In quali aziende investite?
In quelle di eccellenza che, nella loro nicchia, giungono a detenere fino al 40% del mercato mondiale. Abbiamo puntato su aziende come Avio, che è leader in un settore altamente specializzato come quello aerospaziale.
Oppure pensi a Guala Closures, che fa tappi di sicurezza per il beverage ed è tornata in Borsa con la spac di Space.

Ancora una spac?
Si, quel mondo sta supplendo alla mancanza di un vero mercato del private
equity, che è una delle nostre grandi carenze. Da noi mancano i committenti
degli “alternative” che, in tutto il mondo, sono rappresentati da fondi pensione, family office e sovereign fund. Il mercato dei fondi pensione in Italia è ancora molto modesto, anche se la cultura della previdenza complementare cresce sempre più, confermando il grande interesse
verso sistemi pensionistici in grado di allocare le risorse in modo altamente
efficiente.

In Italia però si ha ancora il timore di esporsi ai mercati azionari. Il rischio equity deve essere traslato sull'investitore finale e l'unico
modo di farlo in maniera efficace è tramite prodotti a medio e lungo termine. Se andiamo a vedere chi detiene le partecipazioni azionarie dell'economia domestica nel mondo anglosassone vediamo che sono
soprattutto i fondi pensione. Sono investitori attivi, partecipano alle assemblee, cambiano il mondo. Da noi è necessario lavorare ancora
un po' sulla regolamentazione.

Qual è il vostro modello di investimento?
Noi investiamo in strumenti finanziari quotati, che sono rappresentativi nei propri mercati di riferimento. Costruiamo portafogli con un'elevata diversificazione e crediamo fortemente nella gestione attiva con un
attento controllo dei rischi.

Nel caso dell'AIM, la mancanza di liquidità non rappresenta anche un problema per un gestore?
Non del tutto. Parliamo di aziende in cui c'è un sostanziale rispetto del
mercato in termini di governance, diversity, social responsability, azionisti di minoranza, trasparenza. Spesso c'è una resistenza culturale a muoversi in questa direzione, ma aiutano anche i passaggi generazionali che stanno avvenendo nelle imprese. In queste condizioni c'è un sufficiente
committment per contenere il rischio d'illiquidità. C'è una sproporzione,
piuttosto, che va gestita. La ricchezza finanziaria delle famiglie ammonta a circa 4.300 miliardi. Per 2mila miliardi è allocata presso fondi d'investimento, per il resto in titoli o in depositi.

È chiaro che rispetto all'offerta di equity nazionale che non sia Eni o Enel la sproporzione è evidente. Anche se viene offerta sul mercato un'ottima azienda, non tutti possono passare per la stessa porta. Gli investitori istituzionali servono a questo. Arca Fondi è un attore importante dei Pir, detiene una quota del mercato complessivo di circa l'11per cento. Si è una quota importante, molto più rilevante della nostra quota, l'1,5%, nell'intero stock di asset in gestione che ci sono in Italia. Ci abbiamo creduto ed abbiamo avuto una strategia di comunicazione che si è rivelata vincente. Certo occorre stare molto attenti all'andamento del mercato e qui il discorso diventa più generale.

Che collegamento c'è?
Se lo spread sui titoli pubblici aumenta ed i mercati finanziari scendono, tutto questo vanifica il vantaggio fiscale sui Pir e non vi sarebbe più incentivo a detenere quegli strumenti finanziari per almeno 5 anni. Allungare l'orizzonte d'investimento è invece fondamentale per le aziende che ricevono i finanziamenti e per la buona riuscita di quegli impieghi.

Sono le variabili geopolitiche, dalla guerra dei dazi, alla brexit ai rischi sul governo italiano, che incombono sui mercati finanziari. Proprio così. Da 10 anni, da Lehman Brothers in poi, sono diventate molto importanti. Le tensioni geopolitiche possono compromettere l'efficiente allocazione delle risorse, interrompono la crescita che nel mondo sta invece vivendo una fase positiva con un aumento del Pil mondiale stimato nel 4 per cento. Tutto questo invece è a rischio. Oggi stiamo osservando che gli utili delle aziende crescono ma i listini azionari indietreggiano.

Arca è stata un pioniere negli investimenti nelle aziende italiane d'eccellenza, ha creduto nei Pir. C'è una nuova fase, all'orizzonte, in cui questo connubio potrà ulteriormente rinnovarsi?
C'è un tema di cui non si parla. Oggi c'è una parte significativa del passivo delle banche, diciamo intorno ai 500 miliardi, finanziato a tassi negativi grazie alla BCE. Con al fine del QE, le banche avranno due stradedavanti a sé. O riconvertono la raccolta indiretta in raccolta diretta, ciò che mi sembra
difficilmente percorribile, oppure devono cartolarizzare o disintermediare una parte dei loro attivi. Credo che alla fine del prossimo anno parleremo di cartolarizzazioni, quelle vere, non gli NPL. Il modello bancario sarà sempre più orientato all' “originate and distribute”.

Ma non è il modello bancario che ha innescato la crisi dei mutui subprime in Usa?

Dipende dal modo di agire. Per gli investitori sarà un'opportunità interessante, più attraente che entrare nel mercato dei titoli di stato. È chiaro che, occorre stare attenti a non commettere gli stessi errori del passato. Per Arca Fondi il fatto di aver realizzato un'esperienza così importante nell'economia reale del Paese rappresenterà un punto di forza non indifferente da far valere.

 

Cosa vorresti fare?