Banche: i neo professionisti dovranno parlare il linguaggio dei dati

9.11.2021
Tempo di lettura: 5'
Intelligenza artificiale, machine learning, blockchain, big data. Ecco come la digitalizzazione sta cambiando il modo di fare banca. E le skill che dovranno vantare nel proprio curriculum i professionisti del futuro
Giuseppe F. Italiano: “L’università ha una sfida notevole da affrontare: formare i nuovi professionisti, in grado di svolgere attività che stanno cambiando o che magari non esistono ancora”
Gli istituti finanziari dovranno essere in grado di utilizzare l’immensa mole di dati a loro disposizione, di trattarli e di estrarre un valore che sia win-win in primis per il cliente e poi per loro stessi
La rivoluzione tech, accelerata dalla crisi pandemica, sta plasmando il settore dei servizi finanziari e del risparmio gestito. E le banche, fin dal primo momento, hanno adottato quella che Silvia Attanasio, responsabile ufficio innovazione dell'Associazione bancaria italiana intervenuta in occasione della Morningstar Investment Conference Italy 2021, ha definito una “politica positiva di apertura al cambiamento”.
“Hanno iniziato a sperimentare, a domandarsi in una logica di coopetition (competizione mista a qualche strada di collaborazione) quale sarebbe stato il reale impatto delle nuove tecnologie sulla propria operatività”, racconta Attanasio. “Lo hanno fatto partendo da un ambito piccolo, quello della riconciliazione bancaria. Ma grazie a questo progetto siamo il primo Paese ad avere più o meno l'intero settore che utilizza una tecnologia basata sui registri distribuiti (dlt). Si parla di ben 100 banche italiane che fanno leva sulla blockchain, arrivate a processare oltre 400 milioni di transazioni”.
Restando sul tema blockchain, un recente sondaggio condotto da Consob e Assogestioni ha a sua volta confermato la sua valenza strategica per le società del risparmio italiane. Insieme all'intelligenza artificiale. “Sono due tecnologie disruptive che hanno letteralmente cambiato il modo in cui le organizzazioni operano”, interviene Giuseppe F. Italiano del Dipartimento di impresa e management della Luiss Guido Carli. “Quando parliamo di intelligenza artificiale, parliamo di machine learning. Nel settore finanziario, per esempio, ci sono organizzazioni che gestiscono portfolio in maniera completamente automatizzata. Quando parliamo invece di blockchain, parliamo di dlt. Sono tecnologie molto diverse, la prima ha un approccio centralizzato e lavora sui dati privati e la seconda lavora in modo pubblico e aperto. Ma credo che in futuro sarà necessaria una combinazione tra le due”.
Di fronte a questa evoluzione, aggiunge Italiano, l'università ha una sfida notevole da affrontare: formare i neo professionisti, in grado di svolgere attività che stanno cambiando o che magari non esistono ancora. “Credo che la cultura digitale non rappresenti più una specialty ma una commodity, qualcosa che chiunque debba avere. Noi insegniamo cultura digitale a tutti e, negli ultimi anni, abbiamo introdotto nuove iniziative per formare una nuova tipologia di data scientist, che non parli solo il linguaggio dei dati ma anche il linguaggio del business. Le banche necessitano di queste figure di mezzo”, spiega Italiano.
In questo momento, anche secondo Attanasio, gli istituti di credito mancano di professionisti in grado di comprendere e maneggiare le nuove tecnologie. C'è bisogno dunque di un “passaggio culturale” e di “nuovi professionisti” capaci di raccogliere le sfide che stanno letteralmente cambiando il modo di fare banca. Senza dimenticare, però, l'importanza della relazione vis-à-vis. “I clienti cercano semplificazione”, osserva Luca Ferrarese, head of retail & affluent di Banca Sella. “Dobbiamo essere in grado di utilizzare l'immensa mole di dati che abbiamo a disposizione, di trattarli e di estrarre un valore che sia win-win in primis per il cliente e poi per la banca. Nell'ottica di una sempre più profonda personalizzazione, che si basi sulla conoscenza reciproca”. Senza dire (ancora) addio alla filiale. “Il tema vero è capire come cambierà tra 10 o 15 anni. Io credo sarà un punto d'incontro aperto, senza vincoli di fisicità o altro. Noi stiamo già sviluppando in prospettiva dei luoghi privi di barriere che sfruttano la capacità e la necessità di fare network. Come un'agorà”, conclude Ferrarese.
Di fronte a questa evoluzione, aggiunge Italiano, l'università ha una sfida notevole da affrontare: formare i neo professionisti, in grado di svolgere attività che stanno cambiando o che magari non esistono ancora. “Credo che la cultura digitale non rappresenti più una specialty ma una commodity, qualcosa che chiunque debba avere. Noi insegniamo cultura digitale a tutti e, negli ultimi anni, abbiamo introdotto nuove iniziative per formare una nuova tipologia di data scientist, che non parli solo il linguaggio dei dati ma anche il linguaggio del business. Le banche necessitano di queste figure di mezzo”, spiega Italiano.
In questo momento, anche secondo Attanasio, gli istituti di credito mancano di professionisti in grado di comprendere e maneggiare le nuove tecnologie. C'è bisogno dunque di un “passaggio culturale” e di “nuovi professionisti” capaci di raccogliere le sfide che stanno letteralmente cambiando il modo di fare banca. Senza dimenticare, però, l'importanza della relazione vis-à-vis. “I clienti cercano semplificazione”, osserva Luca Ferrarese, head of retail & affluent di Banca Sella. “Dobbiamo essere in grado di utilizzare l'immensa mole di dati che abbiamo a disposizione, di trattarli e di estrarre un valore che sia win-win in primis per il cliente e poi per la banca. Nell'ottica di una sempre più profonda personalizzazione, che si basi sulla conoscenza reciproca”. Senza dire (ancora) addio alla filiale. “Il tema vero è capire come cambierà tra 10 o 15 anni. Io credo sarà un punto d'incontro aperto, senza vincoli di fisicità o altro. Noi stiamo già sviluppando in prospettiva dei luoghi privi di barriere che sfruttano la capacità e la necessità di fare network. Come un'agorà”, conclude Ferrarese.