Politically correct: 7 consigli per un buon leader

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Cosa si intende per politically correct e quali sono le mosse che un buon leader e un’azienda devono mettere in atto? Ecco sette suggerimenti

La notizia è stata riportata anche dal sito della Bbc. La nuova “docu-fiction” di Netflix intitolata “Queen Cleopatra” racconta della storia d’Egitto e ha tra gli attori protagonisti l’attrice nera Adele James, che incarna proprio il ruolo di Cleopatra. Ed è questo ad aver scatenato l’ira degli egiziani, in particolare del notissimo archeologo e divulgatore Zahi Hawass. Secondo lo studioso la regina egiziana aveva la pelle chiara e questo è bastato a fare intervenire anche un avvocato, il quale a sua volta ha presentato una denuncia: “Queen Cleopatra” viola le leggi sui media ed è rea di “cancellare l’identità egiziana”. 

Apriti cielo. Molti hanno appoggiato la critica arrivando addirittura a far circolare una petizione affinché Netflix ritiri il documentario. Altri se ne discostano, sostenendo che Cleopatra non fosse “né nera né bianca”. Infatti le origini della regina sono ancora dibattute e nessuno sa esattamente quale fosse il colore della sua carnagione. Ma questo in realtà poco importa. Quando si tratta di fiction e di creazione cinematografica, è lecito che al regista e agli autori venga concesso il diritto di interpretare la storia a uso della morale che si vuole trasmettere.

Nel caso di “Queen Cleopatra”, Jada Pinkett Smith, direttrice esecutiva del documentario, ha spiegato che storicamente è molto più probabile che Cleopatra fosse di carnagione scura e ha raccontato di aver voluto rappresentare “le donne nere che hanno avuto un ruolo nella Storia”. Ben venga, quindi, una regina di colore nero, che per una volta tanto abbatterebbe il sentimento di razzismo che purtroppo ancora oggi aleggia verso le persone di origine africana. E per quanto riguarda l’archeologo egiziano che accusa la serie di cancellare l’identità del suo popolo, beh, siamo nell’esasperazione del politically correct. 


Cosa si intende per politically correct

Con politically correct si designa un atteggiamento sociale con lo scopo di rifuggire l’offesa o lo svantaggio verso determinate categorie di persone all’interno di una società. Ma spesso il politically correct non fa altro che esasperare le differenze, anziché spianarle. 

Prendiamo ad esempio gli asterischi che ora si leggono sui post, ma anche sugli inviti ufficiali: “Buongiorno a tutt*”, oppure: “Siete tutt* benvenuti!”. Lo scopo – secondo chi usa l’asterisco – è quello di rendere uomini e donne alla pari, poiché secondo le regole della grammatica italiana bisognerebbe scrivere al maschile (tutti), oppure scrivere comprendendo entrambi i generi: “tutti e tutte”. La grammatica, però, non è razzista o discriminatrice, si basa solo su una serie di regole che facilitano la nostra comunicazione. È per questo che usa un solo genere. È vero, usiamo ancora spesso avvocato e non avvocatessa perché in passato – concordo! - per le donne era più difficile dedicarsi a certe professioni. 


Ciò che conta è il cosiddetto “main stream”, che ci detta cos’è buono e cos’è meno buono. Impariamo a pensare con la nostra testa ed evitare le discriminazioni, tutte! E stiamo attenti a guardare alla luna e non al famoso dito che la indica. Praticare un giusto “politically correct” è importante per coltivare relazioni sane e rispettose, in ogni ambito, professionale e privato. Questo vale ancora di più se si coprono ruoli in cui le qualità umane sono fondamentali. Un manager, un team leader, un coordinatore deve saper essere politicamente corretto con tutti i suoi collaboratori, sempre. 


Consigli per praticare un atteggiamento rispettoso e in un modo equilibrato 

1) Inclusione e uguaglianza 

In ogni azienda o organizzazione, le persone possono occupare un ruolo gerarchicamente diverso, ma tutti, dal punto di vista umano, meritano lo stesso rispetto e hanno diritto a essere ascoltati nei propri bisogni umani. Attenzione quindi a utilizzare un linguaggio che sia sempre di inclusione. Un vero leader preferisce il “noi” al “voi” e sviluppa una comunicazione che faccia sentire tutti ugualmente partecipi del progetto che si sta condividendo. Tutti sono importanti, ognuno nel suo ruolo. Allo stesso modo, o ci si dà tutti del “lei”, o ci si dà tutti del “tu”. Un escamotage per essere inclusivi in un rapporto formale è ad esempio usare il “lei” con il nome di battesimo. 


2) Rispetto per le condizioni di salute 

La legge sulla privacy difende il diritto dell’individuo ad avere riservatezza circa le sue condizioni di salute. Un atteggiamento “politically correct” deve saper rispettare questo diritto. Evitare quindi espressioni che siano denigratorie a riguardo di capacità fisiche o mentali del singolo. Può sembrare scontato, ma esistono casi di “bullismo” aziendale in cui si verificano “sfottò” di difetti fisici o inabilità di alcuni colleghi. Un buon leader sa anche riconoscere chi manca di rispetto ai colleghi e fare in modo che questo atteggiamento venga interrotto. 


3) Mai parlare di politica

La politica è costruita sul contrasto tra fazioni: repubblicani e democratici, labouristi e conservatori, destra e sinistra. Quando un leader parla di un partito politico, involontariamente farà percepire le sue idee politiche. E anche se non mancasse di rispetto a nessuno, se la sua idea è diversa dal suo interlocutore, questi potrebbe percepire inevitabilmente una sensazione di “divisione”. 


4) Evitare di tirare in mezzo Dio 

Per un motivo simile, è meglio evitare di parlare di religione mentre si fa business. Certo, nessun leader si sognerebbe di concludere una riunione di lavoro dicendo “Che Dio vi benedica!”, ma se questo accadesse e nel gruppo ci fosse qualche ateo, beh, si creerebbe un po’ di imbarazzo. Allo stesso modo, vale il contrario: un buon leader non dovrebbe bestemmiare mai e nemmeno criticare alcune usanze di determinate religioni, nemmeno se lavora in mezzo a un gruppo di atei. Oggi auguriamo “Buon Natale!” e “Buona Pasqua!” a tutti, ma queste feste sono ormai riconosciute anche dai laici, che le vivono come vacanza. 


5) Attenzione alla geografia 

È bene però fare attenzione all’uso della lingua quando dobbiamo descrivere persone di un’altra etnia. Per esempio, l'espressione “Italo-africano” da noi non può essere utilizzata come si fa negli Stati Uniti, dove esistono i diretti discendenti degli schiavi africani. Gli africani emigrati in Italia sanno da quale Stato provengano. Pertanto, una persona che proviene dall'Egitto è un Italo-egiziano. Dire Italo-africano sarebbe offensivo. È come se nostro figlio nascesse a Nuova Delhi e lo chiamassero Indo-europeo. Qualcosa stride... 


6) Sensibilità 

Un buon manager o leader fa affidamento sulla sua sensibilità per mantenere sempre un atteggiamento politically correct. Questo significa percepire le interferenze che le persone possano leggere nelle nostre parole. Molte espressioni comuni risalgono a periodi in cui il clima sociale era meno inclusivo. Un esempio? Se volessimo conoscere se una collaboratrice è impegnata, chiederle: “Hai un ragazzo?” sarebbe politicamente scorretto poiché la domanda presuppone che lei sia eterosessuale e non lascia aperta la possibilità che lei abbia un altro tipo di relazione affettiva. Sarebbe più corretto farle una domanda del tipo: “Ti vedi con qualcuno?” o “Sei impegnata?”. 


7) Tolleranza 

Infine, un po’ di buon senso. Occorre rispettare il diritto di ogni individuo di scegliere il linguaggio e i termini che, secondo lui, meglio descrivano la sua razza, classe, sessualità, genere, o abilità fisica. Un buon leader o manager non si mette sulla difensiva se qualche suo collaboratore rifiuta un linguaggio che – a suo parere - lo marginalizza o lo sminuisca. Anzi, lo ascolta e da questo impara come migliorare il suo linguaggio, per essere più inclusivo. Ci sono persone con disabilità fisiche che preferiscono essere chiamate diversamente abili e non disabili, altre che invece non si fanno problema, purché le si tratti con rispetto. Dare il nome giusto alle cose è una questione complicata, e ascoltarsi a vicenda può essere il modo migliore per assicurarsi che tutti si sentano inclusi. Tutto ciò alla fine si traduce in empatia, l’abilità del manager di mettersi nei panni dell’altro, di saperlo “vedere” e ascoltare senza pregiudizi. Ognuno è importante in una squadra a prescindere dalle differenze di cui è portatore. Anzi le differenze sono spessissimo il valore aggiunto di un team.



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Ha costituito 15 anni fa una boutique specializzata in formazione e coaching per manager e sportivi. Ha ideato una metodologia che vince le naturali resistenze all’apprendimento di nuovi comportamenti. È anche conosciuto come il fondatore della Domandologia ®. Insegna queste materie, oltre che nelle aziende private, anche presso l’Aeronautica militare italiana.

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