Se le banche fanno educazione finanziaria è un problema?

Alberto Battaglia
1.12.2021
Tempo di lettura: 5'
E' un fatto: il ruolo di banche, reti e assicurazioni è prominente nell'educazione finanziaria. Non c'è necessariamente un conflitto d'interesse

Ad alimentare iniziative come il Mese del risparmio sono in buona parte gli stessi soggetti che, in altra sede, offrono "soluzioni" d'investimento. Altri soggetti terzi sono indirettamente collegati a banche o assicurazioni. In che misura gli interessi di chi fa formazione finanziaria coincidono con quelli dei cittadini?

Abbiamo raggiunto la Feduf e il Museo del Risparmio (di Intesa Sanpaolo) per capire se esiste davvero un problema di indipendenza nella divulgazione dei concetti basilari della finanza

L'Italia ha un evidente problema di scarse conoscenze finanziarie e le iniziative di divulgazione, per fortuna, non mancano. Molti degli sforzi profusi per accrescere le competenze degli italiani in materia di pianificazione finanziaria e di investimenti provengono da alcuni dei principali fornitori di “soluzioni”: siano esse fondi, polizze o altri prodotti. Stiamo parlando, dunque, di un'educazione finanziaria promossa da banche, assicurazioni, reti di consulenza, società di gestione del risparmio. La loro presenza nel "mercato" dell'educazione finanziaria è facilmente verificabile, scorrendo il programma completo dell'ultima edizione del Mese dell'educazione finanziaria - un'iniziativa annuale promossa dal ministero dell'Economia. Accanto a istituzioni pubbliche come la Consob o la Banca d'Italia, compaiono, fra gli altri, i nomi di Unicredit, Poste, Bper Banca, Generali, Fineco, Widiba. Altri partecipanti sono associazioni legate al mondo bancario come l'Abi, o a quello della consulenza abilitata all'offerta fuori sede come l'Anasf. Infine, ci sono soggetti come il Museo del Risparmio, fondato da Intesa Sanpaolo (chiaramente indicata nel programma del Mese) e la Fondazione per l'Educazione Finanziaria e al Risparmio (Feduf) il cui Cda è interamente composto da figure che ricoprono ruoli di responsabilità in importanti istituzioni finanziarie italiane.

Chiedersi se un'educazione finanziaria offerta dal mondo bancario possa incoraggiare un insegnamento non imparziale della materia è legittimo. Ma è quello che accade veramente? Esiste un problema di trasparenza? Lo abbiamo chiesto ad alcuni degli attori coinvolti nella partita dell'educazione finanziaria in Italia.
Dal punto di vista dei fornitori di “soluzioni”, accrescere il livello di competenze finanziarie degli italiani potrebbe rappresentare un motivo interesse. Dalle rilevazioni effettuate annualmente dalla Consob, infatti, emerge che l'avversione al rischio che spinge buona parte delle famiglie italiane a non investire si associa a competenze finanziarie inferiori alla media. Se migliorare il livello delle competenze si traducesse in maggiori proventi per la gestione del risparmio, questo potrebbe essere visto, comunque, come un beneficio sia per i consumatori sia per le istituzioni finanziarie. Del resto, la riduzione dei margini sull'attività di credito tipica della banca ha spinto gli attori del settore a spingere su altre fonti di entrata, fra cui la gestione del risparmio e le assicurazioni. Tutto questo non ci sembra né un segreto né un problema, a patto che i contenuti di pura educazione finanziaria non favoriscono una visione distorta o se non promuovono questo o quel fornitore.

Per quanto riguarda la trasparenza, non esistono particolari problemi nel riconoscere chi sono e di quali interessi siano portatori i vari soggetti coinvolti nei programmi di educazione finanziaria – anche se, forse, questi ultimi non sono immediatamente evidenti a chi ha bisogno di questi corsi. Ad esempio, il progetto didattico per le scuole secondarie promosso dall'Anasf, “Metti in conto il tuo futuro”, dedica l'ultimo dei suoi quattro moduli alla “necessità di un consulente” - il che non dovrebbe stupire se a sostenerlo è un corso apertamente promosso dall'associazione di categoria.

Le risposte della Feduf e del Museo del risparmio


Interrogata sul ruolo che le banche possono avere sulle sue attività, data la composizione del suo Cda, la Feduf ha risposto a We Wealth affermando che i “programmi didattici di FEduF vengono vagliati e valutati accuratamente dal comitato scientifico della Fondazione, indipendente e formato da accademici)”, mentre “nessun programma didattico è mai stato sottoposto al vaglio del Cda della Fondazione”. Inoltre nell'attività di divulgazione della Feduf “non vi è nessuna indicazione rispetto a prodotti di alcun tipo” poiché “la Feduf, nella sua missione di educazione finanziaria, si pone con un ruolo puramente didattico e formativo” e “non indica mai a chi rivolgersi per sottoscrivere prodotti, non fornisce mai consigli sugli investimenti e tantomeno compara costi e commissioni di gestione”.

Il Museo del risparmio di Intesa Sanpaolo è un'altra delle istituzioni impegnate nell'educazione finanziaria, in una posizione che potrebbe far pensare a un conflitto d'interesse. "Questo problema pervade molti degli ambiti di attività delle aziende, ma il rapporto di fiducia che si basa sulla reputazione acquisita in anni di lavoro trasparente e competente aiuta a superare il sospetto”, ha dichiarato a We Wealth la direttrice e curatrice del Mdr, Giovanna Paladino. “In Intesa Sanpaolo, per esempio, il Museo del Risparmio offre, da un decennio, programmi di educazione finanziaria per studenti e adulti lavorando sotto l'ombrello fornito dalla Presidenza. Siamo una realtà aperta al dialogo con le altre strutture della banca, ma completamente indipendente dalle politiche di business delle divisioni. E' un esperimento che altre banche internazionali hanno seguito”.

Nei programmi didattici della Feduf e del Mdr non abbiamo avuto modo di riscontrare elementi in grado di favorire un attore del mondo del risparmio piuttosto che un altro. Il fatto che a promuovere queste iniziative vi siano alcuni attori potenzialmente non disinteressati non si accompagna a una particolare faziosità, alla luce dei programmi proposti.

Piuttosto, è molto evidente il problema della scarsa preparazione finanziaria degli italiani: secondo l'ultima indagine Ocse il punteggio di financial literacy italiano è del 53%, il più basso fra le economie sviluppate.

Gli stessi italiani, nella più recente indagine Consob sulle scelte di investimento delle famiglie, reputavano le banche e le assicurazioni come i soggetti più appropriati a fare educazione finanziaria, davanti alle istituzioni pubbliche.

Per il co-fondatore di Consultique, Luca Mainò, uno dei protagonisti della consulenza finanziaria FeeOnly e “concorrente” delle reti, il ruolo delle banche nell'educazione finanziaria è un dato di fatto. “E' naturale che, ad oggi, siano le banche ad avere un ruolo di primo piano nell'educazione finanziaria, vista la dimensione delle loro strutture e viste le risorse che hanno a disposizione”, ha dichiarato Mainò a We Wealth; “Come professionista che presta il servizio di consulenza indipendente slegato dalla distribuzione, penso che più l'investitore è consapevole meglio riesce a gestire il proprio patrimonio”. Lo stesso Mainò ha aggiunto, in conclusione, che "col passare degli anni e con l'affermarsi sempre più significativo della consulenza 'fully independent' le persone comprenderanno l'importanza di utilizzare per la propria education finanziaria soggetti indipendenti che non prestano altri servizi d'investimento oltre alla consulenza 'pura' anche "per evitare di imbattersi in una formazione dove potenziali conflitti di interesse possano generare nell'investitore convinzioni a volte non del tutto corrette".

Responsabile per l'area macroeonomica e assicurativa. Giornalista professionista, è laureato in Linguaggi dei media e diplomato in Giornalismo all'Università Cattolica

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