La revisione della Mifid II, in vigore dal 2 agosto, obbliga i consulenti finanziari a considerare le preferenze Esg dei clienti.
Se l’investitore è interessato alla sostenibilità, i professionisti devono proporre fondi che hanno una percentuale minima di investimenti Esg, come definiti dal Regolamento Sfdr o dalla Tassonomia Ue per la finanza sostenibile.
I clienti possono anche richiedere strumenti che tengano solamente conto dei principali impatti negativi (Pai), i 64 indicatori previsti dalla Sfdr per dare trasparenza sulle conseguenze avverse delle decisioni di investimento sui fattori ambientali e sociali.
Sulla carta è tutto chiaro, ma nella pratica trovare un fondo con queste caratteristiche può diventare una missione (quasi) impossibile.
Fondi Esg: mancano i dati
L’analisi Morningstar su oltre 10 mila fondi europei che hanno già presentato il template europeo per lo scambio di dati Esg tra società di gestione e distributori rivela che la copertura è bassa.
“Le società hanno dato priorità ai prodotti classificati sotto gli articoli 8 (light green) e 9 (dark green) della Sfdr per la prima fase della rendicontazione Eet (European Esg template)”, spiega Hortense Bioy, direttore globale della ricerca sulla sostenibilità di Morningstar. “Ma i dati sono frammentari. Meno della metà dei fondi articolo 8 e articolo 9 analizzati (in tutto 4.583) ha preso in considerazione i Pai e l’esposizione agli investimenti sostenibili secondo la definizione dell’Sfdr. Poco più di un quarto ha comunicato l’allineamento alla Tassonomia Ue”.
Copertura dei dati-chiave dell’Eet da parte dei fondi articolo 8 e 9 dell’Sfdr
Fondi Esg – Caso n. 1: i Pai
Prendiamo il caso di un investitore interessato ai principali impatti negativi dei suoi investimenti (Pai). Nel trovare il fondo che soddisfi queste esigenze, i consulenti finanziari devono tenere in considerazione che solo il 41% degli articoli 8 (48% dei 9) ha popolato questo campo e che tra questi il 15% dei fondi light green dichiara di non prenderli in esame (5% dei dark green).
Su oltre 10 mila fondi analizzati (sostenibili e tradizionali), circa un quinto riporta di tenere in considerazione i Pai nelle decisioni di investimento.
Fondi Esg – Caso n. 2: esposizione minima agli investimenti Esg
Facciamo ora l’esempio di un cliente interessato a fondi che abbiano una certa esposizione minima alla sostenibilità. Tra i comparti classificati come articolo 8 o 9, un terzo ha dichiarato un valore pari allo 0% e un altro 36% tra lo zero e il 20%. Solo un quinto ha un obiettivo superiore al 40%.
Fondi Esg – Caso n. 3: allineamento alla Tassonomia Ue
Infine, consideriamo un investitore che desidera allineare il suo portafoglio alla Tassonomia Ue per la finanza sostenibile. In questo caso, i consulenti finanziari si troveranno di fronte a numeri davvero esigui. Circa il 27% dei fondi articolo 8 e 9 ha popolato questo campo all’interno del template Eet e la maggior parte (90%) ha indicato un valore pari a zero. Solo il 2% ha un obiettivo superiore al 10% e nessuno sopra il 60%.
“Questi dati possono essere spiegati dal fatto che gli emittenti renderanno noto il loro livello di allineamento alla tassonomia solo nel 2023 e che, nel frattempo, le autorità di vigilanza europee (Esa) hanno spinto gli asset manager a essere prudenti nella disclosure sulla Tassonomia”, spiega Bioy.
Fondi Esg: una missione (quasi) impossibile
La questione di fondo, tuttavia, è la mancanza di standard per il calcolo di questi dati che ha provocato l’adozione di metodologie assai diverse tra le società di gestione, rendendo i dati poco comparabili.
“Non c’è dubbio che i consulenti finanziari faranno fatica ad adempiere ai nuovi obblighi”, ammette la ricercatrice di Morningstar. “Oltre alla sfida metodologica, il loro lavoro sarà complicato dal fatto che molti fondi non hanno ancora comunicato le informazioni richieste o hanno dichiarato un’esposizione nulla agli investimenti sostenibili”.