La confessione del testatore

17.12.2021
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Validità ed efficacia per il diritto italiano della confessione resa in un testamento
L'art. 2730, comma 1, c.c. offre la definizione di confessione: essa è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte. La confessione giudiziale, cioè quella resa in un giudizio, e la confessione stragiudiziale resa direttamente alla parte o al suo rappresentante fa piena prova contro colui che l'ha fatta. Il valore di piena prova si ha perché il legislatore ragionevolmente assume che un soggetto non dichiara fatti a sé sfavorevoli – e favorevoli all'altra parte – se non li crede veri, dovendo poi subirne le conseguenze.
Il legislatore prevede altresì che la confessione stragiudiziale possa essere contenuta in un testamento. L'art. 2735, comma 1, c.c. dispone quanto segue “La confessione stragiudiziale fatta alla parte o a chi la rappresenta ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale. Se è fatta a un terzo o se è contenuta in un testamento, è liberamente apprezzata dal giudice”. La confessione è quindi una disposizione testamentaria non patrimoniale tipica, in quanto prevista direttamente dallo stesso legislatore. È una dichiarazione di scienza, perché il testatore dichiara fatti di cui è a conoscenza e non esprime una propria volontà.
Anche se il testamento può essere sempre revocato dal testatore, la disposizione con cui il testatore rende una confessione invece non è revocabile, salvo che sia stata determinata da errore di fatto o violenza ex art. 2732 c.c. In altre parole, la revoca del testamento con cui si è resa la dichiarazione confessoria non ha effetti su quest'ultima, che rimane valida ed efficace.
Come prevede l'articolo 2735 c.c., la confessione resa nel testamento è liberamente apprezzata dal giudice. Tale forma di confessione non fa piena prova contro colui il quale l'ha resa, a differenza della confessione giudiziale e stragiudiziale fatta direttamente alla parte, e il giudice può liberamente scegliere se fondare su di essa il proprio convincimento (potendo, in ipotesi, fondare il proprio convincimento anche esclusivamente sulla confessione nel testamento). In ogni caso, non è valutabile alla stregua di un mero indizio – idoneo unicamente a fondare una presunzione o ad integrare una prova manchevole – ma un mezzo di prova diretta (cfr. Cass. 4608/2000).
Anche se il testamento può essere sempre revocato dal testatore, la disposizione con cui il testatore rende una confessione invece non è revocabile, salvo che sia stata determinata da errore di fatto o violenza ex art. 2732 c.c. In altre parole, la revoca del testamento con cui si è resa la dichiarazione confessoria non ha effetti su quest'ultima, che rimane valida ed efficace.
Come prevede l'articolo 2735 c.c., la confessione resa nel testamento è liberamente apprezzata dal giudice. Tale forma di confessione non fa piena prova contro colui il quale l'ha resa, a differenza della confessione giudiziale e stragiudiziale fatta direttamente alla parte, e il giudice può liberamente scegliere se fondare su di essa il proprio convincimento (potendo, in ipotesi, fondare il proprio convincimento anche esclusivamente sulla confessione nel testamento). In ogni caso, non è valutabile alla stregua di un mero indizio – idoneo unicamente a fondare una presunzione o ad integrare una prova manchevole – ma un mezzo di prova diretta (cfr. Cass. 4608/2000).
Particolarmente frequente, nella prassi, è la dichiarazione fatta dal testatore nel testamento delle donazioni che il medesimo ha fatto in vita ai suoi eredi o ad altre persone. Si segnala, a tal proposito, che una pronuncia di merito recente, la sentenza del Tribunale di Trapani del 5 settembre 2019 (che riprende un principio già affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza 11737/2013), ha ritenuto che non possa essere assimilata ad una confessione stragiudiziale, ai sensi del 2935 c.c., la dichiarazione del testatore di avere già soddisfatto il legittimario con donazioni fatte durante la vita, e ciò in quanto nell'azione di riduzione il legittimario (se preterito) è terzo. In aggiunta, il Tribunale ha inoltre considerato che tale dichiarazione sarebbe invece favorevole al testatore e ai suoi eredi e, invece, sfavorevole al legittimario: infatti, se fosse vero il fatto che il testatore ha provveduto a soddisfare in vita le pretese del legittimario, quest'ultimo non potrebbe esperire l'azione di riduzione (non potendo pretendere la reintegrazione di alcuna quota di legittima), consentendo ad altri eredi e donatari di trattenere le attribuzioni ricevute e al testamento di conservare piena efficacia.
Il Tribunale ha però ritenuto che tale particolare dichiarazione resa dal testatore, pur non potendo essere - in questo contesto – assimilata ad una confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c., non è comunque priva di valore probatorio: al contrario, la dichiarazione rientra nel novero delle prove atipiche, che sono soggette al prudente apprezzamento del giudice ai sensi dell'art. 116 c.p.c. (“Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti”).
Il Tribunale ha però ritenuto che tale particolare dichiarazione resa dal testatore, pur non potendo essere - in questo contesto – assimilata ad una confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c., non è comunque priva di valore probatorio: al contrario, la dichiarazione rientra nel novero delle prove atipiche, che sono soggette al prudente apprezzamento del giudice ai sensi dell'art. 116 c.p.c. (“Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti”).