Il diritto di abitazione sulla casa familiare a favore del coniuge superstite

22.11.2021
Tempo di lettura: '
Secondo la dottrina e la giurisprudenza assolutamente dominanti si tratta di una fattispecie di successione legale a titolo particolare: l'art. 540, comma 2 c.c. prevede a favore del coniuge superstite l'acquisto di due legati ex lege, uno avente ad oggetto il diritto di abitazione sulla casa familiare, e l'altro avente ad oggetto i diritti d'uso sui mobili che corredano la medesima
Il secondo comma dell'art. 540 del codice civile dispone che “al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli”. Secondo la dottrina e la giurisprudenza assolutamente dominanti (cfr. Cass 6625/2012) si tratta di una fattispecie di successione legale a titolo particolare: l'art. 540, comma 2 c.c. prevede a favore del coniuge superstite l'acquisto di due legati ex lege, uno avente ad oggetto il diritto di abitazione sulla casa familiare, e l'altro avente ad oggetto i diritti d'uso sui mobili che corredano la medesima. Tali legati vengono acquistati automaticamente dal coniuge all'apertura della successione (salvo il potere di rifiutare tale acquisto) e gli permettono di continuare ad abitare la casa che era stata adibita, col coniuge defunto, a residenza familiare, purché sussistano alcune condizioni.
Anzitutto, l'articolo riserva tali diritti al “coniuge”, e deve pertanto sussistere il vincolo di matrimonio all'apertura della successione (non potrebbe giovarsi di tale diritto il coniuge divorziato all'apertura della successione, poiché non più legato da vincolo di matrimonio con il defunto). Per quanto riguarda il coniuge separato, di fatto, consensualmente o giudizialmente senza addebito, esso è equiparato, ai sensi dell'art. 548, comma 1 c.c. al coniuge superstite e potrà godere di tali diritti, con la particolarità però che dovrà essere verificata, in concreto, l'esistenza di una casa familiare all'apertura della successione (che è presupposto oggettivo dell'art. 540, comma 2 c.c. e che verrà esaminato infra). I diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e d'uso dei mobili che la corredano non spettano, invece, al coniuge separato con addebito, giusto il disposto dell'art. 548, comma 2 c.c., e nemmeno all'ex coniuge divorziato come già detto.
Presupposto oggettivo è poi l'esistenza di una “casa familiare” all'apertura della successione. La casa familiare, anche ai sensi dell'art. 144 c.c., è il luogo dove si è svolta prevalentemente la vita familiare. Vi possono rientrare anche le seconde case, ma si ritiene che, in caso di utilizzo di più case, possa essere individuata, come casa familiare, solo una tra di esse (cfr. Cass. 12042/2020).
L'art. 540, comma 2 c.c. richiede poi che la casa familiare e i mobili che la corredano siano “di proprietà del defunto o comuni”. Nessun dubbio sussiste nel caso in cui il de cuius fosse unico proprietario di detta casa all'apertura della successione, ovvero se ne fosse comproprietario assieme al coniuge. Maggiori dubbi interpretativi ha invece suscitato l'ipotesi in cui il defunto fosse comproprietario assieme a terzi dell'immobile. Si sono a tal proposito delineati tre orientamenti.
Secondo una prima tesi, il termine “comuni” è idoneo a comprendere anche le ipotesi in cui la casa familiare fosse detenuta dal de cuius in comproprietà con terzi o altri chiamati, di tal guisa da tutelare il coniuge superstite anche contro facili elusioni della norma. In tale ipotesi, il diritto di abitazione si estenderebbe solo sulla quota di comproprietà caduta in successione.
Presupposto oggettivo è poi l'esistenza di una “casa familiare” all'apertura della successione. La casa familiare, anche ai sensi dell'art. 144 c.c., è il luogo dove si è svolta prevalentemente la vita familiare. Vi possono rientrare anche le seconde case, ma si ritiene che, in caso di utilizzo di più case, possa essere individuata, come casa familiare, solo una tra di esse (cfr. Cass. 12042/2020).
L'art. 540, comma 2 c.c. richiede poi che la casa familiare e i mobili che la corredano siano “di proprietà del defunto o comuni”. Nessun dubbio sussiste nel caso in cui il de cuius fosse unico proprietario di detta casa all'apertura della successione, ovvero se ne fosse comproprietario assieme al coniuge. Maggiori dubbi interpretativi ha invece suscitato l'ipotesi in cui il defunto fosse comproprietario assieme a terzi dell'immobile. Si sono a tal proposito delineati tre orientamenti.
Secondo una prima tesi, il termine “comuni” è idoneo a comprendere anche le ipotesi in cui la casa familiare fosse detenuta dal de cuius in comproprietà con terzi o altri chiamati, di tal guisa da tutelare il coniuge superstite anche contro facili elusioni della norma. In tale ipotesi, il diritto di abitazione si estenderebbe solo sulla quota di comproprietà caduta in successione.
Secondo un altro orientamento, l'ipotesi in cui l'immobile sia stato detenuto dal de cuius in comproprietà con altri chiamati o terzi sarebbe idonea ad escludere l'operatività del legato di abitazione (salvo il caso in cui sia possibile frazionare materialmente una porzione di fabbricato), venendosi altrimenti a creare un inammissibile diritto di coabitazione. Il diritto di abitazione sulla casa familiare e uso dei mobili che la corredano, che hanno comunque un valore economico, si convertirebbero in un equivalente monetario a favore del coniuge.
Secondo un ultimo orientamento, infine, il termine “comuni” non include l'ipotesi in cui il de cuius detenesse l'immobile con terzi o altri chiamati, e pertanto, mancando i presupposti per l'operatività della norma, e non potendosi realizzare l'obbiettivo del legislatore di garantire il pieno godimento di tali beni, il coniuge non acquisterebbe né il diritto di abitazione della casa familiare e uso di relativi mobili, né tantomeno il diritto a conseguire un equivalente monetario.
Secondo un ultimo orientamento, infine, il termine “comuni” non include l'ipotesi in cui il de cuius detenesse l'immobile con terzi o altri chiamati, e pertanto, mancando i presupposti per l'operatività della norma, e non potendosi realizzare l'obbiettivo del legislatore di garantire il pieno godimento di tali beni, il coniuge non acquisterebbe né il diritto di abitazione della casa familiare e uso di relativi mobili, né tantomeno il diritto a conseguire un equivalente monetario.