Patrimonio digitale e trasmissione dei contenuti digitali conservati sulle piattaforme informatiche

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Argomento di grande attualità per i professionisti del settore sono le modalità di trasmissione, in particolare per testamento, del “patrimonio digitale”. Approfondiamo il tema

Argomento di grande attualità per i professionisti del settore sono le modalità di trasmissione mortis causa, in particolare per testamento, del “patrimonio digitale”. Con questa espressione si intendono tutti i beni e i diritti disponibili di una persona conservati in formato digitale, fra cui, ad esempio, files, emails, diritti patrimoniali d’autore, crypto-assets ecc. 


La dottrina sostiene che il patrimonio digitale sia trasferibile per testamento, stante, da un lato, la disponibilità (e quindi trasmissibilità) dei diritti che ne fanno parte, e, dall’altra. l’appartenenza dei beni che lo compongono (i c.d. beni digitali) alla più generale categoria dei “beni” e la loro conseguente attitudine a “formare oggetto di diritti” (cfr. art. 810 c.c.) e dunque di trasferimenti. La questione, semplice in via di principio, è tuttavia resa più complessa dalla mancanza di una normativa ad hoc, che rimette, di fatto, la disciplina all’autonomia privata. 


La trasferibilità mortis causa dei beni digitali si scontra, infatti, nella pratica, con le condizioni generali di contratto predisposte dalle società gestrici (c.d. service providers) delle piattaforme informatiche (es. social networks, clouds ecc.) sulle quali i beni digitali sono conservati. Non di rado, infatti, queste prevedono l’estinzione automatica del rapporto contrattuale alla morte dell’utente (o dopo un certo periodo di inattività), con l’intrasmissibilità dell’account, la sua cancellazione automatica e la definitiva trasmissione di tutti i contenuti ivi conservati al service provider (si tratta delle c.d. clausole di terminazione automatica). Considerato, dunque, che per accedere agli accounts degli utenti è necessario conoscere le relative passwords, dette clausole rendono difficile la trasmissione mortis causa del patrimonio digitale a soggetti che le ignorano. 


A causa dell’effetto attributivo (a favore del service provider) mortis causa che le clausole di terminazione automatica producono e del fatto che sono stipulate per atto inter vivos, una parte della dottrina le assimila ai patti successori, sostenendone la nullità ex art. 458 c.c. (salvo marginali ipotesi in cui il patto successorio possa essere considerato valido ai sensi delle norme di diritto internazionale privato). La giurisprudenza, tuttavia, pronunciandosi su casi in cui gli eredi, ignorando le passwords, avevano dovuto adire l’autorità giudiziaria per ottenere la collaborazione dei service providers nel recupero dei beni digitali dei defunti (cfr. Trib. Milano, Sez. I Civ., Ord., 10/02/2021; Trib. Bologna, Sez. I Civ., Ord. 25/11/2021; Trib. di Roma, Sez. VIII Civ., Ord. n. 2688/2022), non ha mai dichiarato la nullità di tali clausole per contrarietà al divieto di patti successori.

Dato il vuoto normativo e l’assenza di consolidati orientamenti giurisprudenziali sul punto, è dunque opportuno che la trasmissione per testamento dei beni digitali venga pianificata, adottando soluzioni che evitino agli eredi di dover ricorrere all’autorità giudiziaria. 


Una buona prassi, sia dal punto di vista della riservatezza (si evita la diffusione delle passwords), che della praticità (si evita di dover modificare il testamento ad ogni cambio di password), è quella di predisporre e custodire un apposito documento, fisicamente separato rispetto al testamento, in cui elencare tutte le passwords degli accounts cui si intende consentire l’accesso ai propri successori. Nel testamento, poi, si farà espressa menzione dell’esistenza di detto documento e della sua collocazione, così da permettere ai soggetti designati di utilizzare le passwords, accedere agli accounts e recuperare i beni digitali al fine di eseguire le volontà testamentarie. 


Quanto all’individuazione dei soggetti cui affidare dette operazioni, vi sono varie possibilità; fra queste: 

a) trasmissione “diretta” delle passwords ai destinatari dei lasciti testamentari (eredi o legatari), così che essi possano recuperare autonomamente i beni; 


b) affidamento delle passwords ad un esecutore testamentario (o più di uno), così che solo un soggetto (o più) di fiducia possa accedere agli accounts per poi curare l’esecuzione delle volontà testamentarie concernenti i beni digitali; 


c) mandato post mortem (ritenuto valido dalla dottrina in questo caso poiché non sostituisce il testamento nella sua peculiare funzione attributiva mortis causa) con attribuzione ad un soggetto di fiducia per il recupero dei beni digitali e la loro trasmissione ai soggetti indicati dal titolare dei beni.

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Maria Cristiana Felisi è Of Counsel di Maisto e Associati. Ha sviluppato una particolare competenza nella consulenza ai clienti su aspetti di diritto privato e di famiglia, tra cui il diritto delle successioni, i trust, le fondazioni, la pianificazione successoria, real estate, societario e relativo contenzioso. È una mediatrice professionale per le imprese, un Family Officer qualificato in Italia e membro dell'International Bar Association (IBA). E' iscritta all'albo degli avvocati di Milano dal 1992 ed è patrocinatrice davanti alla Corte di Cassazione e ad altre giurisdizioni superiori.

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