La mossa di Apple ha fatto riflettere alcuni osservatori sulla possibile concorrenza che la società, e alcune altre Big Tech, potranno esercitare sugli attori bancari tradizionali
La prospettiva più realistica, come osservato fin qui, è che l’interesse delle Big Tech sui servizi finanziari non sfocerà in una concorrenza diretta con gli attori tradizionali, ma in opportunità di collaborazione
A partire dal 17 aprile, Apple ha lanciato negli Stati Uniti un servizio di deposito bancario ad elevato interesse per i possessori della Apple card. Si tratta di un servizio fornito da Goldman Sachs che offre, al momento, un rendimento sulle somme depositate del 4,15%. L’offerta ha fatto stropicciare gli occhi: gli interessi pagati in media dai conti correnti americani rendono in media lo 0,39%, stando ai numeri ufficiali del Fdic aggiornati al 17 aprile, oltre dieci volte meno.
La mossa di Apple, che era già entrata nel servizi di pagamento con ApplePay ed AppleCard, nei servizi di buy now pay later, ha fatto riflettere alcuni osservatori sulla possibile concorrenza che la società, e alcune altre Big Tech, potranno esercitare sugli attori bancari tradizionali.
No, Apple non diventa una banca
Per il momento, però, i servizi in questione si sono avvalsi di collaborazioni con attori già presenti sul mercato. Ad esempio, ApplePay non costituisce un nuovo circuito di pagamento, ma è un servizio che, piuttosto, entra in concorrenza con PayPal nel campo dell’utilizzo online, o attraverso device mobile, delle tradizionali carte tipicamente ancorate ai circuiti Visa o Mastercard. La stessa Apple card permette di effettuare pagamenti attraverso il circuito Mastercard, che ne garantisce la flessibilità di utilizzo.
Per quanto riguarda il Deposit Account Agreement fra Apple e Goldman Sachs, saltano all’occhio alcune evidenti limitazioni rispetto a un conto corrente “normale”. Per iniziare, il succoso rendimento offerto (che, però, “può cambiare in qualunque momento”) si scontra con un limite massimo depositabile di 250mila dollari. Il conto non può né inviare né ricevere bonifici. Inoltre, la sua platea potenziale si limita ai soli possessori o cointestatari di una Apple card, a sua volta accessibile solo per chi è in possesso di device di Cupertino.
Del resto, la stessa Apple non ha presentato il suo nuovo deposito di risparmio come un’alternativa al conto bancario tradizionale, ma come uno strumento “per ottenere maggiore valore dal benefit preferito della loro Apple card, ossia Daily Cash” – che altro non è che un servizio di cashback sugli acquisti che i clienti effettuano con la Apple card. A partire dal 17 aprile, insomma, Apple ha offerto una possibilità in più ai suoi clienti: se inviare il denaro ottenuto dai cashback sul servizio Apple cash, dove può essere speso, o risparmiato su Savings, per ottenere un rendimento. La società ha comunque fatto sapere che fondi aggiuntivi, fino al tetto dei 250mila dollari, potranno provenire da un conto bancario collegato o dal loro saldo su Apple cash.
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Sfida o alleanza
“Apple è finalmente diventata una banca e un nemico temibile per le banche al dettaglio? La mia opinione è: sì”, ha affermato su Linkedin l’ex dg di Unicredit, Roberto Nicastro, “Apple sta diventando sempre più l’incubo dei concorrenti per le banche e gli altri operatori finanziari, soprattutto negli Stati Uniti, non perché diventerà una banca (potrebbe non diventarlo mai), ma perché… forse sta trasformando la propria interfaccia bancaria per i clienti nel principale punto di accesso per i servizi bancari al dettaglio”.
“Non credo che in questo momento ci sia all’orizzonte una concorrenza diretta fra realtà come Apple e istituzioni finanziarie tradizionali come Bank of America o di Intesa Sanpaolo”, ha dichiarato a We Wealth il professor Marco Giorgino, direttore scientifico dell’Osservatorio Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano. “Vedo piuttosto una convergenza d’interessi”, dimostrata dalle partnership che società come Apple hanno sottoscritto per poter fornire determinati servizi altrimenti inaccessibili per via delle licenze necessarie. Secondo il professore, l’esperienza osservata fin qui mostra soprattutto l’interesse reciproco nelle possibilità di collaborazione fra Big Tech e società finanziarie tradizionali. La stessa Goldman Sachs, ancorché a un costo non certo basso, può trarre beneficio in termini di funding dall’arrivo dei depositi dei clienti delle Apple card, mentre ovviamente Apple può offrire un rendimento di tutto rispetto ai suoi clienti. Ciò non significa che queste iniziative siano le prove generali per una Apple prossima a diventare una banca vera e propria.
“Per fare banca non basta avere il contatto con il cliente finale o il telefonino che consente al cliente di avere mille applicazioni, ma serve tutta l’infrastruttura che c’è dietro, comprese compliance e gestione del rischio”, ha affermato Giorgino. Le Big Tech non hanno le caratteristiche per fornire questi servizi e, secondo il direttore dell’Osservatorio, “non mi sembra abbiano l’interesse a dotarsi di queste strutture pesanti e dei loro costi”.
Un altro conto, invece è il banking as a service, il modello nel quale una società tecnologica stringe una partnership con una banca per fornire un servizio, che permetta fra le altre cose una migliore profilazione del cliente non solo come consumatore, ma anche come risparmiatore.