Credit Suisse aggiorna i minimi storici in Borsa, aprendo la seduta di lunedì 3 ottobre in calo del 9% a 3,61 franchi svizzeri
Occhi puntati sulla presentazione della nuova strategia globale, in programma in occasione della presentazione dei risultati trimestrali a fine ottobre
Credit Suisse cade in Borsa: i tentativi di rassicurazione dei vertici, che secondo quanto riportato dal Financial Times hanno trascorso il fine settimana rincuorando clienti e investitori su liquidità e posizione patrimoniale del colosso svizzero dopo che i credit default swap sono saliti bruscamente raggiungendo i 250 punti base venerdì, non sono bastati a evitargli un aggiornamento dei minimi storici aprendo la seduta del 3 ottobre in calo del 9% a 3,61 franchi svizzeri. Mentre continua a scorrere il countdown sulla presentazione del piano di rilancio, prevista in occasione della presentazione dei risultati trimestrali del prossimo 27 ottobre.
“I team si stanno impegnando attivamente con le nostre principali controparti questo fine settimana. Stiamo anche ricevendo chiamate dagli investitori con messaggi di sostegno”, ha dichiarato al quotidiano economico-finanziario britannico un dirigente di Credit Suisse coinvolto nelle discussioni, smentendo tra l’altro i rumors circolati sui media sulla potenziale raccolta di capitali e insistendo sul fatto che la banca stia di fatto evitando tale mossa proprio in considerazione del recente crollo del prezzo delle azioni (superiore al 25% nel mese di settembre). Un alto dirigente di un’azienda contattata da Credit Suisse ha aggiunto come, secondo la sua opinione, l’istituto elvetico rappresenti “la peggiore grande banca in Europa” ma che non sia in pericolo. Almeno nell’immediato. “Non stiamo facendo riunioni su questo argomento”, ha rassicurato. “Non credo si tratti di una crisi, il calo del prezzo delle azioni della banca riflette i suoi profondi problemi e la mancanza di soluzioni evidenti”.
Credit Suisse: la questione “spezzatino”
A preoccupare, in questo contesto, è anche la questione relativa allo spezzatino della banca d’investimento. L’idea sarebbe quella di dividere l’investment banking in tre parti: un’unità dedicata alla consulenza, che potrebbe essere scorporata in un secondo momento; una bad bank per gestire le attività ad alto rischio che saranno liquidate; e una terza unità che gestisca le restanti attività. L’istituto, contattato da We Wealth, non ha rilasciato tuttavia dichiarazioni in merito in attesa di svelare la nuova strategia globale a fine ottobre. In una nota ha spiegato come “sarebbe prematuro” anche “commentare qualsiasi risultato potenziale prima di allora”. Nel mese di agosto alcuni analisti di Deutsche Bank avevano stimato che i costi per sollevare l’investment banking avrebbero generato un buco da 4 miliardi di franchi svizzeri nella posizione patrimoniale di Credit Suisse, tra costi di ristrutturazione, sviluppo di altre linee di business e rafforzamento dei coefficienti patrimoniali.
Venerdì 30 settembre Ulrich Körner, che ha assunto le redini di Credit Suisse in qualità di neo-amministratore delegato in sostituzione di Thomas Gottstein a partire dal 1° agosto 2022, in un messaggio inviato al personale lo aveva intanto rassicurato sulla “solida base di capitale” e sulla “forte posizione di liquidità della banca” preannunciando aggiornamenti regolari fino alla diffusione del nuovo piano strategico. “So che non è facile rimanere concentrati tra le tante storie che leggi sui media, in particolare, date le molte affermazioni effettivamente inesatte fatte. Detto questo, confido che tu non stia confondendo la nostra performance quotidiana del prezzo delle azioni con la solida base di capitale e la posizione di liquidità della banca”, aveva scritto Körner.
Come raccontato a We Wealth da fonti vicine all’istituto svizzero, Körner fa parte del panel degli 11 degli attuali 12 membri del Consiglio di amministrazione nominati a seguito delle vicende di Archegos e Scff del 2021, otto dei quali reclutati esternamente: Francesco De Ferrari, Markus Diethelm, Joanne Hannaford, Dixit Joshi, Francesca McDonagh, Christian Meissner e David Wildermuth (oltre a Ulrich Körner, appunto). L’incarico di Körner sarebbe proprio quello di ridurre l’investment bank del gruppo e tagliare i costi: mosse che potrebbero mettere a rischio il 10% dei 45mila dipendenti a livello globale.