Il 61% dei consulenti ritiene di avere una “buona” conoscenza delle tematiche Esg, cui si aggiunge un 20% che dichiara una conoscenza “ottima”
In cima alle richieste che i consulenti vorrebbero rivolgere alle reti si collocano una maggiore formazione, seguita da un miglior sistema di remunerazione
Elena Leonardi, Banca Generali: “È il momento di fare un passo in più. Dobbiamo far capire ai consulenti che parlare di sostenibilità può essere una grande opportunità”
Gli investimenti sostenibili salutano i frenetici anni dell’euforia, entrando in una nuova fase di maturità; una fase che vede i consulenti finanziari ridefinire i contorni della relazione coi clienti, mentre chiedono alla loro rete di riferimento più formazione e informazione. Sono solo alcuni dei risultati della IX edizione della ricerca Sri: coinvolgimento consulente-cliente condotta da Anasf e ET.Group – The Esg knowledge company e presentata durante la sessione mattutina del salone.Sri al Palazzo delle Stelline di Milano. Un’occasione per analizzare anche in che modo l’industria sta tenendo il passo di un panorama normativo che continua a evolversi (e a complicarsi), esplorando le esperienze di operatori e network associativi.
Stando all’indagine, circa un consulente su tre ha registrato quest’anno un maggior interesse della clientela nei confronti dei prodotti Sri rispetto al 2022. Un dato tuttavia in costante calo se si guarda all’ultimo triennio e indice di un mercato che “sta muovendosi in una maniera più consapevole e più solida”, spiega in apertura Luca Testoni, co-fondatore di ET.Group e direttore di ETicaNews e Esg Business Review. Dal proprio canto, il 61% dei consulenti ritiene di avere una “buona” conoscenza delle tematiche Esg, cui si aggiunge un 20% che dichiara una conoscenza “ottima”; dati accompagnati da una progressiva contrazione di chi invece la considera “sufficiente” (16%) o “insufficiente” (3%). In termini di informazione, però, oltre la metà (56,3%) dei consulenti la ritiene “migliorabile”, sebbene aumenti la percentuale di coloro che la considerano “sufficiente” (34%) o “ottima” (10%). Allo stesso modo, il 45% dei banker definisce “migliorabile” anche la formazione in questi ambiti.
Di conseguenza, in cima alle richieste che i consulenti vorrebbero rivolgere alla loro rete di riferimento si collocano più formazione e informazione, seguite da un miglior sistema di remunerazione e solo infine da più prodotti. Il 79% afferma che la rete ha predisposto un percorso di formazione per far fronte alle nuove disposizioni della Mifid 2 relative alla trasparenza e all’educazione del cliente, ma sull’effettiva utilità dei questionari di profilazione delle preferenze di sostenibilità non mancano gli scettici. “Il 74% dichiara che saranno utili nel medio termine, una volta che l’adeguamento normativo si sarà consolidato”, racconta Testoni. “Ma c’è anche un 13% che non li ritiene utili”. Guardando a quest’ultimo campione, le motivazioni sono diverse: c’è chi dice che i clienti danno priorità ai rendimenti, che blocca l’operatività in gabbie percentuali, chi parla di un ulteriore adempimento burocratico, chi crede che il questionario sia malposto e non permette di cogliere la reale sensibilità del cliente al tema, chi afferma che il cliente percepisce le motivazioni ma rimane mediamente scettico e chi lo definisce puro marketing.
Ad ogni modo, quasi la metà dei rispondenti individua come fascia d’età più incline alla profilazione quella compresa tra i 31 e i 50 anni (47%), seguita dalla fascia 18-30 anni (36%) e solo infine da chi ha un’età compresa tra 51 e 65 anni (12%) o superiore ai 65 anni (5%). “Se è vero che c’è una maggiore penetrazione delle tematiche della sostenibilità in alcune fasce d’età, ricordiamoci anche com’è cambiata la mappa del risparmio in Italia”, interviene Gian Franco Giannini Guazzugli, membro del comitato esecutivo e responsabile dell’area tutele fiscali e sostenibilità di Anasf. “I consulenti dovrebbero far crescere quel 12 e 5%, adattando lo strumento al tipo di mercato che queste fasce rappresentano”, suggerisce Guazzugli. Anche perché, rispetto allo scorso anno, ritengono di essere sempre più supportati dalle reti. Il 50% del campione afferma infatti di disporre di uno strumento per identificare e soddisfare le richieste dei clienti in tema di sostenibilità, una quota in crescita di 15 punti percentuali rispetto allo scorso anno. Tra gli strumenti a disposizione, acquista terreno il ricorso a tool interni (36%), seguito dall’utilizzo di una piattaforma di advisory (22%) e dalla presenza di indicatori Esg (circa il 17%).
“Mi ha colpito questa diminuzione di quegli entusiasmi che possiamo definire pericolosi”, dichiara Angela Maria Carozzi, responsabile ufficio legale e normativa di Assoreti commentando i risultati dell’indagine. “Questo vuol dire che il tema della sostenibilità parte dalla compliance ma non si esaurisce. È un onere per gli intermediari che intendono impegnarsi a 360°, partendo dalla considerazione dell’Esg nella governance per arrivare alla promozione della cultura della sostenibilità nei confronti dei consulenti e, di conseguenza, dei clienti”, osserva Carozzi. “È il momento di fare un passo in più”, aggiunge Elena Leonardi, responsabile servizio banking group sustainability di Banca Generali. “Dobbiamo far capire ai consulenti che parlare di sostenibilità può essere una grande opportunità, non solo per il cliente retail ma anche per le mid corporate. La Corporate sustainability reporting directive impatterà infatti anche le piccole e medie imprese. Quello che significherà per loro va spiegato, come va spiegato come possa rappresentare un vantaggio”.