Alla vigilia di Cop28, governi, aziende e imprese sono lontani dagli obiettivi di limitare il surriscaldamento del globo
Un’analisi Morningstar sui portafogli dei fondi climatici rivela che i principali titoli in portafoglio non sono in linea con la traiettoria di limitare le temperature entro 1,5°C
Le principali società presenti nei fondi low carbon hanno in media un disallineamento maggiore, quelli nelle energie pulite minore
Dal 30 novembre al 12 dicembre si terrà a Dubai la Cop28, la conferenza sul clima promossa dalle Nazioni Unite. Sono passati otto anni dalla sigla degli accordi di Parigi per limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 gradi Celsius in più rispetto ai livelli preindustriali e per proseguire gli sforzi per contenerlo a 1,5° C.
Nonostante le misure intraprese dai governi, dalle aziende e dagli investitori, il raggiungimento dell’obiettivo è ancora lontano. E anche i fondi climatici devono fare i conti con la realtà.
Nel mondo, i comparti attivi e passivi con un mandato legato alle tematiche del clima sono più di 1.400 (dati Morningstar al 30 giugno 2023), per un patrimonio di 534 miliardi di dollari, di cui l’84% domiciliato in Europa. Guardando dentro i portafogli di questi fondi emerge, però, la difficoltà ad allinearsi con gli accordi di Parigi.
Portafogli climatici fuori traiettoria
In un recente studio dal titolo Investing in time of climate change, Morningstar ha analizzato i 20 titoli più popolari nelle varie tipologie di fondi climatici e ha scoperto che nessuno di essi è in linea con la traiettoria di limitare a 1,5° C l’innalzamento delle temperature.
Per l’analisi, i ricercatori hanno utilizzato il Morningstar low carbon transition rating (Lctr) che fornisce agli investitori una valutazione science-based e prospettica dell’allineamento di una società alla traiettoria di azzeramento delle emissioni entro il 2050.
Il giudizio è espresso in due modi:
- aumento implicito della temperatura (gradi centigradi, Itr)
- grado di allineamento: in una scala che va da “allineato” (1,5 °C) a “severamente disallineato” (sopra i 4 °C).
L’analisi mostra che nessuna azienda tra le principali presenti nei portafogli dei fondi climatici ha un Itr pari o inferiore a 1,5°C, il che significa che nessuna è in linea con l’obiettivo degli accordi di Parigi.
In effetti, il problema è ben più ampio delle società in cui investono i gestori con mandato sul clima. Infatti, delle 5.800 aziende quotate e attualmente coperte dal Lctr solo una è allineata alla traiettoria di 1,5°C: Novartis.
I fondi climatici non sono tutti uguali
Entrando più nel dettaglio delle strategie climatiche è bene ricordare che non sono solo quelle specializzate sulle energie alternative, ma ci sono diverse tipologie.
I fondi più diffusi in Europa sono quelli sulla transizione climatica, che investono in aziende maggiormente allineate con la transizione verso un’economia a basse emissioni di Co2 o forniscono soluzioni sul clima.
Un’altra tipologia popolare nel Vecchio continente è quella low carbon, che è specializzata in imprese che hanno una minore carbon intensity rispetto al mercato nel suo complesso.
Altre strategie climatiche includono i fondi che investono nel settore della transizione o che ne beneficeranno; quelli sui green bond e i comparti con focus sulle fonti rinnovabili.
Il patrimonio dei fondi climatici europei per strategie di investimento
Strategie sulla transizione climatica: il problema delle emissioni Scope 3
Nelle strategie di investimento sulla transizione climatica, troviamo tra i titoli più disallineati agli accordi di Parigi, L’Oreal, che ha un Itr di 6° C. La società del settore della bellezza e dei cosmetici è penalizzata soprattutto dalle emissioni prodotte dai suoi fornitori, che in prevalenza sono aziende chimiche, e da una gestione “nella media” di queste emissioni. In sostanza, se l’economia globale avesse una traiettoria di azzeramento delle emissioni simile a quella che sta portando avanti attualmente L’Oreal, la temperatura crescerebbe di 6° C sopra i livelli pre-industriali.
Un’altra impresa che è fortemente disallineata è la compagnia farmaceutica, Roche Holding, a causa soprattutto delle emissioni Scope 3, ossia quelle della catena del valore.
“Per tutti i titoli più comunemente detenuti nei fondi per la transizione climatica, tranne due, la maggior parte delle emissioni è di tipo Scope 3”, spiega Hortense Bioy, direttore globale della ricerca sulla sostenibilità di Morningstar. “Ciò sottolinea l’importanza di adottare una visione olistica della gestione di tutte le emissioni di carbonio da parte di un’azienda quando si costruisce un portafoglio low carbon risk”.
Itr medio e mediano dei 20 principali titoli più comuni all’interno di ciascuna strategia climatica
Fondi low carbon lontani dagli accordi di Parigi
Anche tra i fondi low carbon, gli analisti di Morningstar hanno rilevato un disallineamento rispetto agli accordi di Parigi. In effetti le principali società presenti in queste strategie risultano nel complesso le più lontane dalla traiettoria di 1,5° C (in termini di valori medi), ma non mancano le eccezioni. Infatti, tra le società più presenti nei portafogli di queste strategie ci sono Redeia Corporacion, proprietaria della rete elettrica spagnola, e la telecom francese Orange. “Entrambe hanno un Itr di 1,9° C e una forte gestione delle emissioni, che sono prevalentemente Scope 2, ossia derivanti dall’energia acquistata”, precisa Bioy.
All’interno delle strategie climate solution, diversi tra i titoli più comuni entrati nei portafogli nell’ultimo anno sono cinesi. Fra questi, spicca Contemporary Amperex Technology, che è il più grande produttore al mondo di batterie per veicoli elettrici, il cui indicatore di aumento implicito della temperatura è di 2,2° C contro un obiettivo di Cop21 di 1,5° C. Sul dato pesano le emissioni Scope 3, ossia quelle dei produttori di auto, che sono il bacino di sbocco dei suoi prodotti, e la debole gestione delle stesse.
Fondi sulle energie rinnovabili più in linea con Cop21
Infine, i fondi con focus sulle energie pulite investono spesso in aziende di piccole e medie dimensioni per cui è più difficile avere i dati sulle emissioni. In ogni caso, l’analisi dei principali titoli rivela un maggior allineamento con gli accordi di Parigi. Ad esempio, l’utilities danese Ørsted ha un Itr di 1,8° C, grazie ai solidi piani manageriali per la transizione climatica.
È interessante anche il caso di First Solar, che ha istituito un piano di incentivi relativo alle performance sulla riduzione dei gas serra, è trasparente sui dati relativi alle emissioni ed è leader nelle rinnovabili.