
Il classico che sorprende: i millennial e l’arte, Giulia Borri e Federico Bartolini
«Noi abbiamo un approccio al mercato dell’arte un po’ romantico. Siamo una coppia riflessiva negli acquisti, conosciamo bene quello che ci piace e ne comprendiamo il valore». Come selezionate le opere? «Le scelte sono originate inizialmente dal sentimento, poi subentrano altri fattori». Avete un’idea di collezione prestabilita? «Si abbiamo il nostro focus che al momento è concentrato sull’arte minimale e sull’arte concettuale. Per quanto riguarda pittura e colore siamo molto distanti. Magari il mercato oggi consiglia di acquistare arte africana o dipinti dai colori accesi. Ma noi facciamo il nostro percorso. Abbiamo anche opere pittoriche ma sempre nell’ambito dell’arte minimale e concettuale».
Come avete elaborato questa ricerca? «Con lo studio della storia dell’arte e con la visita di mostre e musei». Vi fate seguire da un curatore per la collezione? «Tendenzialmente basiamo tutto su noi stessi. L’aver individuato una traccia nella ricerca è stato il punto di partenza. Ora ci muoviamo all’interno del perimetro che ci interessa». Come si è sviluppata nel tempo la vostra raccolta? «Abbiamo iniziato a acquistare arte nel 2011. Da allora a oggi siamo stati coerenti con la nostra ricerca. In un solo caso abbiamo dismesso un’opera precedentemente acquistata in quanto non ci rispecchiava più. Ma ne abbiamo acquistato subito un’altra».
Quali artisti avete in collezione? «Ci interessa la generazione degli artisti italiani nati negli anni Settanta come Pietro Roccasalva, Francesco Gennari, Roberto Cuoghi, Giuseppe Gabellone, David Casini. Artisti in cui crediamo particolarmente. Tra i più giovani, nati dagli anni Ottanta in avanti, citiamo Renato Leotta, Namsal – Siedlecki, Gianluca Concialdi, Valerio Nicolai, Irene Fenara, Lorenza Longhi, Roberto Fassone, che hanno la nostra età e condividono i nostri tempi».
Qual è il rapporto con le gallerie? «Il rapporto con le gallerie per noi è centrale. Nel tempo il dialogo si consolida e “si va dietro alla linea” nel senso che si instaura un confronto aperto e franco che fa crescere entrambi. Un bellissimo approccio lo abbiamo avuto ad esempio con una galleria di Siena, la Fuoricampo, con la quale ora condividiamo opinioni e scelte. Conosciamo e frequentiamo anche gallerie di Milano e Torino. A livello internazionale invece seguiamo online le principali gallerie tedesche e di New York ma comunque preferiamo le gallerie italiane. Perlopiù ci rivolgiamo a gallerie che rappresentano artisti con una impostazione minimale o concettuale, in linea cioè con la nostra ricerca».
Quali dinamiche per gli acquisti in galleria? «Con le gallerie che seguiamo beneficiamo delle prevendite prima delle mostre e più in generale di un confronto costante. In generale prima di acquistare attendiamo sempre la seconda mostra per vedere se l’artista fa un passo in avanti o indietro. Nel rapporto con la galleria c’è comunque un codice da rispettare che prevede di evitare comportamenti speculativi. Ad esempio, se ci si stanca di un’opera in collezione occorre proporla prima alla galleria da cui la si è acquistata. In tal modo si preserva l’artista. Diversamente si perdono soldi e credibilità».

Quali incentivi potrebbero essere implementati in Italia per agevolare l’acquisto di opere d’arte soprattutto tra i più giovani? «Sicuramente andrebbe abbassata l’Iva sulle vendite. La percentuale oggi applicata (22%) andrebbe portata al 4% come per l’editoria. Inoltre, andrebbe abbassata l’Iva sulle importazioni (10%) per rendere il nostro paese più competitivo rispetto alla Francia dove la corrispondente imposta è al 5,5%».
Cosa ne pensate dell’arte come bene da investimento? «È facile abbinare l’arte all’investimento. Tuttavia, si tratta di un binomio molto pericoloso. È ovvio che a nessuno piace buttare via i soldi ma per noi prevale il lato romantico del collezionismo, fatto di passione e studio. Per questo acquistiamo artisti solidi riconosciuti dal sistema. Quello che si compra va conosciuto».
Qual è il ruolo del collezionista nel sistema oggi? «I collezionisti che conosciamo e frequentiamo acquistano per passione e interesse culturale. Alla base c’è l’idea di fare del bene al mondo dell’arte attraverso la condivisione delle opere che si hanno in collezione. Ogni collezione ha la sua storia ed è bello raccontarla. L’avvento dei social network sicuramente ha agevolato questo lato pubblico dei collezionisti che prima era un po’ più riservato».
Cosa ne pensate dei non fungible token (nft), per dare autenticità e unicità alle opere d’arte? «Non abbiamo esperienze dirette con gli nft. Il nostro modo di vedere l’arte e di collezionarla è ancorato al contatto fisico con l’opera». Quali iniziative avete intrapreso per valorizzare la vostra collezione? «In questa fase ci stiamo concentrando sulla documentazione che è il punto di partenza per la valorizzazione e la conservazione delle opere presenti nella nostra raccolta. Abbiamo intrapreso l’archiviazione di tutte le opere in collezione. Avendo iniziato la raccolta con artisti moderni per lo più non più viventi abbiamo contatto le fondazioni e i titolari dei diritti. Per gli artisti contemporanei conserviamo sempre il certificato di autentica dell’artista e della galleria e la fattura di acquisto. A questo si aggiunge la ricerca delle pubblicazioni delle opere nei cataloghi».
L’arte è sempre più spesso messa in dialogo con il design da collezione. Vale anche per i millennial? «Si è così anche per noi. Le linee pulite e la razionalità del design anni ’50 e ’60 lo ritroviamo anche nelle opere d’arte degli stessi anni. A questo uniamo anche l’architettura dal periodo razionalista agli anni ’50 e ’60. Si tratta di una relazione trasversale che rimane coerente con la nostra ricerca. Per esempio, abbiamo uno sgabello di Martino Gamper in dialogo con un’opera di Samuel Haitz, giovane artista svizzero».