I nuovi paradigmi della longevità

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Esiste un divario macroscopico tra l'idea comune di vecchiaia e le reali aspettative dei senior di oggi. Va colmato riscrivendo la narrativa sulla vita dopo la pensione. Intervista a Joe Coughlin, direttore dell'AgeLab del Mit di Boston

I longennial, la generazione degli over 60, fanno i conti con una nuova longevità, che li porta ad esprimere bisogni e aspettative inediti

La longevity economy è la terza maggiore economia al mondo, dopo gli Usa e la Cina

Cambiare le regole e il modo in cui pensare alla vita dopo la pensione non è solo un tema di spesa pubblica, ma di politiche sociali e servizi dedicati a questo specifico target

The longevity economy è il titolo del bestseller scritto da Joe Coughlin. Dall'AgeLab del Massachusetts institute of technology di Boston, che dirige e che ha fondato esattamente 20 anni fa, Coughlin studia esigenze e aspettative dei nuovi longennial, la generazione degli over 60 che affronta una longevità inedita. “La longevity economy è il frutto di un gap generazionale, quello che esiste tra l'idea comune di vecchiaia e le reali aspettative dei senior di oggi. La chiave per farne un'economia è la volontà di ridefinire l'invecchiamento come un'opportunità piuttosto che un problema”, spiega Coughlin a We Wealth. L'obiettivo, aggiungere qualità alla longevità. Per arrivarci è necessaria un'ampia collaborazione tra pubblico e privato, per comprendere e diffondere una nuova concezione di vecchiaia e per ridefinire ciò che chiamiamo “pensionamento”. Adesso che l'aspettativa di vita è in media di 87 anni, presto 100 anni, non si può più pensare che la vita lavorativa sia contenuta tra i 20 e i 65 anni. Il tempo di lavoro, e quindi di contribuzione, 45 anni, sarebbe inferiore al tempo di non occupazione e non contribuzione. È semplicemente impensabile e insostenibile. Ma cambiare le regole e il modo in cui pensare alla pensione non riguarda solo la spesa pubblica e non è solo un problema del governo. Riguarda le politiche sociali e la lettura di una nuova realtà socio-culturale del Paese: la Longevity economy può nascere solo da una nuova narrativa della vecchiaia”.

Come inquadra il mondo finanziario nell'ambito della longevity economy?


Per il mondo finanziario la longevità è una grandissima opportunità. Ma purtroppo anche banche e consulenti finanziari sono intrappolati nella vecchia narrativa del pensionamento. In questo senso è esemplificativa la parola inglese retirement, che dà proprio il senso di ritirarsi, di tirarsi indietro, come se dopo i 65 anni le persone non avessero più le forze vitali per continuare a vivere in modo attivo. Anche l'idea che gli anziani non spendano è frutto di questa cultura. Se cominciassimo ad offrire agli anziani prodotti e servizi attraenti come quelli che si rivolgono ai trentenni allora chi può spenderebbe di più. D'altronde, chi detiene la maggior quota di ricchezza? I dati ci dicono che gli over 65 nel mondo controllano il 30% delle spese a livello globale e i consumi degli over 65 rappresentano la terza più importante economia del mondo, dopo gli Usa e la Cina, in termini di Pil. Eppure solo l'1 o 2% del budget pubblicitario globale è rivolto a un pubblico senior.

Cosa dovrebbero fare i consulenti finanziari per una clientela senior?


Il settore della consulenza finanziaria è ancora troppo disegnato intorno al denaro, quasi fosse il fine ultimo. In realtà il denaro è un mezzo che serve a vivere meglio. Se la questione resta sul piano della mera gestione del denaro, si rischia la commoditizzazione della consulenza a allora il terreno sarà sempre più di roboadvisor, piattaforme, algoritmi. Il ruolo dei consulenti oggi è aiutare il cliente a prevedere prima, attraverso una serie di scenari, e navigare poi ciò che la vita gli riserverà – non c'è esperienza né parametri a causa di una longevità del tutto inedita - guidandolo sui prodotti finanziari e assicurativi, l'approccio al risparmio, le scelte più utili per vivere meglio la propria lunga vecchiaia, compresa la casa, i servizi di cura e assistenza, la mobilità.

Ci troviamo di fronte a un radicale cambiamento culturale, sociale, non solo di finanza pubblica.


Fino a ieri gli anziani vivevano bene grazie soprattutto al sostegno delle famiglie e ad assegni pensionistici di un certo tenore. Oggi, e soprattutto domani, questi due pilastri sono crollati: le famiglie sono spesso lontane o addirittura non esistono: in molti paesi sviluppati il tasso di divorzi anche in età avanzata è sempre più alto e le nascite sono sempre meno. A loro volta, le riforme hanno profondamente cambiato le aspettative di reddito dopo la pensione. Questi due cambiamenti vanno ben oltre il mero denaro. Il consulente deve sempre più entrare in dinamiche non prettamente economico-finanziarie e interpretare il ruolo di mediatore, facilitatore, tra il futuro del suo cliente e la gestione del suo denaro che, questa sì, si può avvalere delle nuove tecnologie.

Possiamo dire che i “longennial” hanno più aspettative che bisogni?


Ricordiamoci che gli anziani di oggi sono baby boomer, una generazione che ha sempre avuto a disposizione prodotti e servizi su misura, costruiti in funzione delle sue aspettative, tecnologie di ogni genere, a volte persino governi che l'hanno assecondata in qualità di grande massa elettorale. Perché dovrebbero essere meno esigenti dopo i 65 anni? Senza contare che, a loro volta, i baby boomer hanno formato le generazioni successive con aspettative e livelli di soddisfazione ancora maggiori.

L'Italia è pronta a cogliere questa sfida?


Con la longevity economy l'Italia ha davanti a sé una grandissima opportunità e gli strumenti per coglierla sono proprio il design e la cultura che costituiscono il suo grande patrimonio. La vecchiaia è una vecchia storia che deve essere riscritta con colori, con stile, con eleganza, con vivacità. Una nuova interpretazione della vecchiaia creerà un nuovo mercato per i cinquantenni, i sessantenni ed oltre che vogliono cose pensate per loro e non riadattate come un vestito di seconda mano. Così l'Italia potrebbe trasformare una fase della vita in una nuova storia nella quale si potranno e si vorranno identificare gli anziani di domani. Sarà per via delle origini italiane di mia mamma, ma io davvero credo che l'Italia potrebbe creare un nuovo paradigma della vecchiaia fatto di stile, di vitalità, di eccellenza. Una vecchiaia a colori. È tutto perfettamente nelle corde del vostro Paese. Un'eccellenza che sareste in grado di esportare in tutto il mondo sviluppato, perché la longevità e di tutti. Arrivare per primi, darebbe uno straordinario vantaggio competitivo.
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Joe Coughlin, direttore dell'AgeLab del Mit di Boston
Articolo tratto dal magazine We Wealth di gennaio 2021

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