Italia in prima linea per avvicinare Pmi e investitori non professionali

Le Pmi svolgono un ruolo
importante nell'economia dell'Ue. Si tratta di 36 milioni di aziende con meno
di 250 dipendenti e con un attivo fino a 50 milioni di euro o un fatturato
annuo fino a 43 milioni. Rappresentano un'ampia quota dell'occupazione e della
produzione.
Per questo motivo, una delle
principali ambizioni politiche dell’Ue è di sostenerle per facilitare il loro
accesso ai finanziamenti. Finanziamenti che, in prevalenza, dipendono ancora
dal credito bancario. In alcuni Paesi, però, le banche sono ostacolate nella
loro capacità di fornire credito.
La ricerca ha dimostrato come l'accesso al credito bancario per le Pmi vari notevolmente da un Paese all’altro in funzione del rating sovrano. L’Italia non può essere considerata un’eccezione. Recentemente, la Commissione europea è intervenuta direttamente per aiutare le Pmi a ottenere maggiori finanziamenti dai mercati dei capitali, con il suo piano d'azione per la Capital Market Union, che prevede 16 azioni specifiche, di cui le prime sei mirano allo sviluppo dei mercati azionari per le Pmi. Messe a punto nel 2015 e rafforzate ulteriormente nel 2020, le misure proposte sembrano aver avuto un impatto limitato. Gli ostacoli al cambiamento sono di tre tipi: la carenza di informazioni necessarie per permettere la valutazione dell’affidabilità creditizia delle Pmi; una governance aziendale strutturata per emettere titoli, compresi quelli azionari e obbligazionari; requisiti di conformità e costi legati alla quotazione sui mercati regolamentati (o sulle sedi di negoziazione multilaterali) troppo elevati per le Pmi rispetto a quelli sostenuti dalle società più grandi. La conseguenza è che le Pmi hanno un profilo di rischio più elevato rispetto alle imprese più grandi.
Questa caratteristica le rende un investimento poco adatto agli investitori non professionali e spesso non rientrano nemmeno nei mandati di investimento degli investitori istituzionali.
no nei mandati di investimento degli investitori istituzionali. Il doppio obiettivo di tutelare gli investitori non professionali e contemporaneamente incrementare la loro partecipazione ai mercati dei capitali merita quindi nuove riflessioni. Per questo motivo, con la Retail investment strategy, la Commissione ha deciso di intervenire per fare in modo che il naturale processo di revisione della Mifid 2 possa arricchirsi di una serie di nuove misure volte ad aiutare gli investitori non professionali a incrementare il loro tasso di partecipazione ai mercati dei capitali. Tra le diverse ipotesi considerate rientra anche un’idea di rivedere i criteri con cui vengono classificati gli investitori e, di conseguenza, le regole per il loro accesso agli strumenti di investimento.
Una proposta fatta dai Regolatori
italiani fornisce spunti interessanti. L’attività sinergica da parte del
“sistema Italia”, riunitosi in un tavolo del Ministero delle Finanze nel quale
hanno lavorato in maniera coordinata tutte le forze in campo - Banca D’Italia,
Consob, Associazioni di categoria (Confindustria, Abi, Assogestioni, Aipb, Aifi
e Assosim e Assoaim) - si è concretizzata nel DM 30 del 13 gennaio 2022: una
soluzione che prevede che per i Fia riservati accanto ai clienti professionali
possano investire anche i clienti non professionali con alcune tutele: un
ticket minimo di investimento di 100mila euro per evitare di attrarre
investitori con poca tolleranza alle perdite potenziali, e peso massimo
dell’investimento portafoglio complessivo sotto consulenza del 10%. L’auspicio
è che l’esperienza nazionale possa essere d’ispirazione in Europa.
Articolo tratto dal Magazine di luglio-agosto di We Wealth