Cosa sappiamo sul rendimento dei Pir, al di là dei vantaggi fiscali

Secondo i dati che Equita Sim ha anticipato a We Wealth, da inizio anno al 25 luglio fondi azionari Pir sono in calo mediamente del 19%, i bilanciati del 11,5% e gli obbligazionari del 10%. La performance dal 2017, anno di lancio, resta positiva e nella maggioranza dei casi a doppia cifra
“I fondi o Etf che coprono il segmento non è che abbiano fatto granché bene rispetto al resto del mercato", ha affermato a We Wealth il co-fondatore di Consultique, Luca Mainò, "il problema atavico delle cattive performance del mercato azionario italiano rimane”
Sono spesso protagonisti della comunicazione dei gestori patrimoniali, sono tassati in modo conveniente e sono nati per indirizzare il risparmio delle famiglie verso le imprese italiane. Il biglietto da visita dei Pir, almeno in apparenza, è molto invitante. Ma come ogni investimento la domanda fontamentale resta sempre la stessa: quanto rendono?
Cosa sono i Pir e quanto hanno reso
I primi Piani individuali di risparmio (Pir) sono arrivati sul mercato nel 2017 e chi li acquistò quell'anno ora potrebbe decidere di liquidarli potendo approfittare del principale vantaggio fiscale offerto da questo prodotto: l'esenzione dal pagamento dalla tassa del 26% sul guadagno in conto capitale, a patto di aver mantenuto il fondo per almeno cinque anni senza interruzioni.
I deflussi sui osservati da inizio anno, pari a 74 milioni hanno avuto varie cause, ha spiegato a We Wealth, co-responsabile del Reasearch Team di Equita, Luigi de Bellis, fra queste ci sono le incertezze sul quadro macroeconomico e, per i primi sottoscrittori dei Pir, la possibilità di incassare il beneficio fiscale.
"Nonostante le performance da inizio anno dei fondi siano negative (fondi azionari mediamente -19% al 25 luglio, bilanciati -11,5%, obbligazionari -10%), quelle dal 2017 restano positive e questo potrebbe aver spinto qualche sottoscrittore a prese di beneficio", ha detto De Bellis osservando maggiori deflussi dagli Etf Pir. "Riteniamo che l'incertezza macro e politica sull'Italia continuerà a pesare sulla raccolta netta per i prossimi mesi, prima di un recupero che ci aspettiamo nell`ultima parte dell`anno/inizio 2023. Le mid-cap italiane stanno trattando attualmente con un rapporto P/E 2022-23E di 13,4x-11,8x".
Secondo i calcoli di Equita i rendimenti dei Pir dal 2017 si mantengono prevalentemente a doppia cifra. Certo chi dovesse vendere adesso accetta di scontare il calo brusco della prima parte del 2022 riducendo così le probabilità di avere una sostanziosa plusvalenza su cui far valere il beneficio fiscale.
Le performance hanno anche conosciuto momenti favorevoli prima dell'attuale congiuntura. Alla fine del primo trimestre, aveva calcolato Equita, “la performance media ponderata dei fondi Pir azionari Italia era superiore al 20% negli ultimi 3 anni” e superiore al 30% dal 2017.
Nel periodo successivo a tale analisi, da inizio aprile al 25 luglio, però, il Ftse Mib ha perso oltre il 18%.
Pir, su cosa investono
Su cosa sono effettivamente investiti i Pir? Dall'ultimo rapporto realizzato a giugno da Equita Sim, si evince che a fine 2021 i 21,2 miliardi investiti in Pir era destinato per il 50% in azioni italiane (10,6 miliardi), quasi equamente suddivise fra quelle a media e grande capitalizzazione; per il 29% in obbligazioni societarie italiane (6,1 miliardi); infine un 21% in liquidità/titoli pubblici italiani e stranieri (4,6 miliardi).
Coerentemente con gli obiettivi del legislatore e i vincoli posti ai gestori, quello dei Pir è un portafoglio a forte connotazione tricolore. “Il Pir per poter essere compliant con le regole, impone qualche rinuncia in termini di diversificazione; quindi l’inserimento di ‘rischi specifici’ (sia in ambito azionario che obbligazionario) può far deviare i rendimenti (e la volatilità) rispetto a esposizioni tradizionali globali e diversificate”, ha dichiarato a We Wealth il co-fondatore di Consultique Scf, Luca Mainò.
Il rendimento dei Pir, uno sguardo al passato
E il rendimento? “I fondi o Etf che coprono il segmento non è che abbiano fatto granché bene rispetto al resto del mercato, anzi", ha affermato il consulente, "il problema atavico delle cattive performance del mercato azionario italiano rimane” anche nella cornice incentivata del Pir. “In sostanza, l’eventuale beneficio fiscale che si ottiene per investire in un Pir rischia seriamente di essere compromesso dal fatto che si guadagna meno rispetto ad altri mercati più sviluppati ed efficienti”.
A supporto di questa considerazione Mainò ha mostrato le performance dell'S&P 500 nel periodo compreso fra il dicembre 2017 e il luglio 2022 (linea in verde) il Ftse mib e tre diversi fondi Pir. Il ritorno totale dell'S&P 500, compresi i dividendi ha superato l'86% surclassando i ritorni del Ftse Mib (10,6%) e quelli dei Pir considerati.
“Lo strumento Pir è stato un po' snobbato dalla nostra clientela che pure ha chiesto delucidazioni sullo strumento”, ha affermato il consulente finanziario autonomo, “tuttavia, gli investitori si sono resi conto che le proposte che venivano dagli intermediari erano poco realizzabili o erano caratterizzate da costi elevati e quindi da inefficienze rispetto al mercato. Inoltre – ha aggiunto Mainò - le tempistiche di detenzione” per accedere al beneficio fiscale “non deponevano a favore dello strumento, visti i vincoli temporali significativi”.
Al di là dei rendimenti del passato, che non possono essere considerati un'indicazione affidabile del futuro, vale la pena interrogarsi se le condizioni economiche attuali depongano a favore di un investimento concentrato su aziende italiane di medio-grandi dimensioni. I timori di recessione sono sempre più forti e l'Italia, nel contesto conflittuale con la Russia, rischia uno dei peggiori contraccolpi in termini di Pil, hanno affermato dal Fondo monetario internazionale. Questo scenario potrebbe avere un maggiore impatto sulle società che costituiscono il bacino privilegiato dei Pir? “Sì, ed è un qualcosa già visto nei primi mesi di quest’anno”, ha risposto il co-fondatore di Consultique, “le small cap italiane hanno avuto dei drawdown maggiori rispetto alle capitalizzazioni più elevate, perché trattavano su multipli più elevati e perché, in molti casi, appartenevano ai segmenti tech, sfavoriti dal contesto di mercato: il rialzo dei tassi ha finito quindi per sfavorire questi titoli più di altri”.