Delisting a raffica, come Piazza Affari potrebbe recuperare appeal

Alberto Battaglia
19.9.2022
Tempo di lettura: 4'
Con gli addii illustri di Exor, Tod's, Atlantia e Autogrill i delisting che Piazza Affari subirà nel 2022 avranno un controvalore da oltre 40 miliardi

Quotazioni più facili e meno onerose e aggiornamenti regolatori graditi alle società già quotate a Piazza Affari sono già allo studio della Consob

Una buona parte dei delisting volontari, però, aveva affermato Intermonte in un suo studio di quest'anno, sono dettate da ragioni opportunistiche

Fra il 2017 e il 2021 le società quotate che avevano abbandonato Piazza Affari hanno sottratto ai listini milanesi 55 miliardi di euro di capitalizzazione, aveva calcolato uno studio realizzato dal Polimi e Intermonte Sim. Da inizio 2022 allo scorso agosto, però, il "conto" dei delisting (non dovuti a operazioni di M&A) ha già raggiunto i 5,3 miliardi di euro, con una lunga serie di rumorosi addii. L'ultimo in ordine di tempo è  l'annunciato addio della holding della famiglia Agnelli, Exor - che capitalizza circa 15,5 miliardi di euro e lascerà il listino il 27 settembre. Nel corso del 2022, hanno già annunciato o portato a termine l'abbandono Piazza Affari grandi nomi come Tod's, Falck Renewables, Cerved e, in seguito ad acquisizione, Atlantia e Autogrill. La Borsa Italiana rischia di diventare sempre di più una piazza per società di dimensioni medio-piccole, che al momento attrae solo cinque società fra le 500 più grandi al mondo secondo Fortune: Intesa Sanpaolo, Eni, Enel, Poste e Assicurazioni Generali.   


Per rispondere al calo di attrattiva di Piazza Affari, il ministero dell'Economia ha già proposto una strada facilitata per le quotazioni future sui listini milanesi, riducendo tempi, costi e oneri burocratici. La revisione è attualmente all'esame della Consob e, in caso di approvazione, diventerà operativa dall'ottobre del 2023. Nel frattempo, la perdita di appeal di Piazza Affari è diventato un caso di risonanza internazionale, che ha avuto risalto anche sulle colonne del Financial Times. Secondo quanto affermato al quotidiano britannico dal professor Giancardo Giudici (Politecnico di Milano School of Management), la regolamentazione della Borsa Italiana è una causa importande della sua perdita di attrattiva per le grandi aziende. 


Lo scorso luglio il Mef ha pubblicato l'esito della consultazione sul cosiddetto Libro Verde sulla competitività dei mercati dei capitali, ammettendo che la Borsa milanese è "poco attrattiva" sia per le società quotate sia per quelle "quotande" a causa della "maggiore onerosità del processo di quotazione e dei costi di permanenza sui mercati, nonché la minore flessibilità del sistema societario rispetto alle esperienze di altri mercati europei". 


Fra le direttrici di intervento indicate dagli operatori di mercato consultati dal Mef vi sono, da un lato, lo snellimento per le procedure di quotazione, che andrebbero incontro alle esigenze delle piccole e medie imprese. Dall'altro, per le società già quotate, "la riflessione del Libro Verde che ha ricevuto maggior riscontro e suscitato una più profonda riflessione nei partecipanti alla consultazione" è stata "quella legata alla revisione della normativa in materia di azioni a voto plurimo e a voto maggiorato". Per le società quotate in Italia vige il divieto di emissione di azioni a voto plurimo (un'azione che può valere fino a tre voti in assemblea), mentre il voto maggiorato (fino a due voti) può essere riconosciuto a condizione che l'investimento sia conservato per almeno 24 mesi. Sarebbe stata proprio la difformità di Borsa Italiana sulle azioni a maggior diritto di voto ad aver spinto Exor ad abbandonare Milano per dirigersi ad Amsterdam, ha dichiarato al Ft il ceo di Intermonte, Guglielmo Manetti. 


Per il governo incrementare il numero delle Ipo e mantenere a Milano i grossi nomi dell'impresa italiana è diventata una priorità. Nello studio realizzato da Intermonte e Polimi, infatti, veniva notato come il numero dei delisting dovuti a decisioni interne dell'amministrazione (e non, ad esempio, in seguito ad acquisizioni) è andato aumentando nel tempo, arrivando a quota otto nel 2021. 


Nonostante i problemi di regolamentazione, viene comunque affermato come, in molti casi l'opportunismo sia una delle ragioni dominanti nei casi di delisting 'voluti' dal management. In alcuni casi, aveva affermato Intermonte, "l’abbandono del listino sembra una manovra opportunistica, per ritirare le proprie azioni dal mercato a buon prezzo". In altre circostanze "si esce dalla Borsa per implementare successivamente strategie e ristrutturazioni che sarebbe più complesso attuare con lo status di società quotata a causa di lacci regolamentari o per evitare un confronto con investitori esterni e con il mercato". 


Se i delisting volontari su Piazza Affari sono avvenuti "per ragioni opportunistiche, considerando quindi Piazza Affari come una ‘porta scorrevole’ dalla quale entrare e uscire per convenienza", è legittimo chiedersi fino a che punto aggiornare la regolamentazione potrà invertirà il trend.


Responsabile per l'area macroeonomica e assicurativa. Giornalista professionista, è laureato in Linguaggi dei media e diplomato in Giornalismo all'Università Cattolica

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