Venture capital: imprenditrici a caccia di liquidità

Rita Annunziata
22.4.2022
Tempo di lettura: 5'
Spesso le imprese al femminile che cercano capitali per crescere trovano le porte chiuse. Sebbene, dati alla mano, garantiscano rendimenti maggiori. Il cambiamento deve avvenire all'interno dei venture capital, che hanno team d'investimento ancora prevalentemente maschili. E soffrono di gender bias

Le realtà “in rosa” generano mediamente 0,78 dollari di entrate per ogni dollaro raccolto a fronte degli 0,31 dollari di quelle guidate da uomini. Ma la corsa ai capitali, almeno per le donne, continua a essere irta di ostacoli

I finanziamenti erogati alle imprese al femminile da fondi di venture capital a livello globale nel 2020 rappresentavano appena il 2,3% dei finanziamenti totali

Secondo Elena Beccalli, la valorizzazione della diversità di genere presenta profonde implicazioni per un miglior funzionamento dei mercati dei capitali

Solo il 20% delle imprenditrici ricorre al credito bancario. Nell'8% dei casi perché temono di essere respinte. Ma, quando si parla di capitale di rischio, le strozzature nel rubinetto della liquidità non fanno che aumentare. Stando a un recente rapporto di Citigroup, dal titolo “Women entrepreneurs: catalyzing growth, innovation and equality”, i finanziamenti erogati alle aziende al femminile da fondi di venture capital a livello globale nel 2020 rappresentavano appena il 2,3% dei finanziamenti totali. Una quota addirittura in calo rispetto al 2,8% del 2019. Eppure, le realtà “in rosa” generano mediamente 0,78 dollari di entrate per ogni dollaro raccolto a fronte degli 0,31 dollari di quelle guidate da uomini. E anche gli stessi fondi potrebbero ottenere rendimenti superiori se solo puntassero su team d'investimento equilibrati per genere. Ma andiamo per gradi.
Le ragioni del minore ricorso al credito bancario possono essere di due tipi. “Le imprese possono scontrarsi con dei vincoli o perché un prestito viene negato dal prestatore o perché loro stesse decidono di non richiedere il prestito poiché temono un rifiuto”, spiega Elena Beccalli, preside della facoltà di scienze bancarie, finanziarie e assicurative dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. “Con riferimento a un ampio campione di piccole e medie imprese europee, studi recenti analizzano tale relazione tra genere e vincoli al credito. Sebbene non sia stata trovata evidenza che le istituzioni finanziarie siano prevenute nei confronti delle donne manager, è meno probabile che le aziende gestite da donne presentino una domanda di prestito poiché prevedono appunto di essere respinte. Di conseguenza, ottengono meno finanziamenti bancari in quanto sembrano essere meno sicure di un esito positivo”. Una situazione, aggiunge, acuita tra l'altro dall'emergenza pandemica. “La crisi ha ulteriormente alimentato le diseguaglianze, generando nuove fratture sociali”, ammonisce Beccalli. Basti ricordare che in Italia, secondo il rapporto dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche, il covid-19 ha avuto un impatto più accentuato sulle imprese a conduzione femminile determinandone la chiusura del 7,6% a fronte del 2,5% di quelle guidate da uomini.
In questo contesto, evidenzia Beccalli, sono emerse nuove forme di finanziamento diretto tramite piattaforme alternative al credito bancario. Ma anche in queste innovative forme di intermediazione si riscontrano discriminazioni di genere. È il caso, per esempio, di una delle principali piattaforme cinesi di prestito peer-to-peer che, secondo quanto racconta l'esperta, richiederebbe alle imprenditrici un tasso di rendimento più elevato per ottenere una probabilità di finanziamento in linea con quella della controparte maschile. Quanto invece ai fondi di venture capital, come anticipato in apertura, l'accesso alla liquidità continua a essere ostacolato da stereotipi che incoraggiano l'idea che le imprese al femminile siano più rischiose.

E a mancare i vantaggi del potenziale “soffocato” delle donne sono anche le stesse istituzioni finanziarie. Secondo un'analisi dell'International finance corporation citata da Citigroup, i fondi di private equity e venture capital che vantano team d'investimento senior equilibrati per genere producono infatti rendimenti dal 10 al 20% superiori rispetto a quelli con una leadership interamente al maschile o al femminile. “Le società di venture capital assumono poche partner femminili, anche se una maggiore diversità di genere migliora le prestazioni degli accordi e dei fondi”, conferma Beccalli. “Allo stesso modo, alcune evidenze mostrano che nei fondi comuni di investimento le donne manager ricevono meno fondi e hanno meno probabilità di essere promosse rispetto ai gestori uomini”. Il tema di fondo è comprendere se la maggiore diversità migliori la performance, aggiunge. “A riguardo, mi pare interessante un recente studio che tiene conto del genere dei figli dei partner di venture capital. In primo luogo, si rileva che la genitorialità di più figlie porta a una maggiore propensione ad assumere partner femminili da parte di società di venture capital, a indicare come il tema affondi le sue radici nei comportamenti a livello familiare. Inoltre, si riscontra che il miglioramento della diversità di genere migliora i deal e le performance. Questi effetti si concentrano particolarmente sulle figlie dei partner senior piuttosto che dei partner junior”, spiega Beccalli.

In definitiva, conclude l'esperta, le strade da perseguire per porre fine alla corsa a ostacoli delle imprenditrici al femminile sono molteplici. A partire da interventi sui sistemi educativi e, nello specifico, su una maggiore educazione finanziaria. Sin dalle scuole primarie, esorta, bisogna allenare bambine e bambini a “far di conto”, eliminando quella discriminazione di genere che porta a far credere che le bambine siano meno adatte a confrontarsi con discipline quantitative e finanziare. Senza dimenticare di favorire la presenza delle donne nella governance e nei ruoli apicali nelle organizzazioni. Ricordiamo che lo scorso 14 marzo il Consiglio dell'Unione europea (l'organo legislativo che rappresenta i governi dei 27 Stati membri) ha raggiunto quello che è stato definito un “orientamento generale” su una proposta legislativa della Commissione volta a favorire l'equilibrio di genere nelle società quotate. Stabilendo un preciso obiettivo quantitativo sulla percentuale dei membri del sesso sottorappresentato all'interno dei board. Laddove i negoziati tra Consiglio e Parlamento europeo si concludessero con l'individuazione di una posizione comune, le società dovranno adottare una serie di misure per raggiungere entro il 2027 la quota del 40% di donne tra gli amministratori senza incarichi esecutivi oppure del 33% tra tutti i membri del consiglio di amministrazione. In caso contrario, dovranno provvedere a nominare o eleggere nuovi amministratori “applicando criteri chiari, univoci e formulati in modo neutro”.

 

(Articolo tratto dal magazine We Wealth di aprile 2021)
Giornalista professionista, è laureata in Politiche europee e internazionali. Precedentemente redattrice televisiva per Class Editori e ricercatrice per il Centro di Ricerca “Res Incorrupta” dell’Università Suor Orsola Benincasa. Si occupa di finanza al femminile, sostenibilità e imprese.

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