Un rally super concentrato delle big tech può essere pericoloso per gli investitori, perché si ripercuote sui fondi e gli Etf che replicano i principali indici azionari di Wall Street
Gli investitori chiedono alle grandi società tecnologiche migliori pratiche di governance
Gli asset manager sono risoluti nel continuare a battersi anche per alcune questioni sociali, come i diritti umani e la privacy
I big tecnologici sono stati i protagonisti assoluti del rally di Wall Street nella prima parte del 2023. Senza le loro performance, l’andamento sarebbe stato piatto. Se da un lato, questa potrebbe essere una buona notizia per gli investitori; dall’altro questi ultimi potrebbero presto spazientirsi a causa delle pratiche ambientali, sociali e di governance (Esg) di queste società.
Nei primi cinque mesi dell’anno, l’indice Morningstar Us large e mid cap, rappresentativo di 716 titoli, ha guadagnato il 9,6% in dollari, di cui il 97% è imputabile ai 10 più grandi titoli per capitalizzazione e in particolare ad Apple, Microsoft, Alphabet, Amazon e Nvidia.
Wall Street, record di concentrazione delle performance
“Questi numeri sono strabilianti se comparati con il grado di concentrazione medio dell’indice nel lungo periodo – dice Lauren Solberg, data journalist di Morningstar – Dal 2009, negli anni in cui i mercati sono saliti, le cinque o 10 più grandi aziende hanno generalmente contribuito tra il 5 e il 10% del guadagno totale del mercato”.
Il 2020, l’anno della pandemia di Covid-19 era già sembrato un periodo eccezionale per quanto riguarda la concentrazione delle performance, ma allora i primi cinque titoli (Apple, Microsoft, Amazon, Meta Platform e Tesla) avevano contribuito al 37% dei rendimenti totali, mentre adesso le big five sono responsabili del 78%, poco più del doppio rispetto a tre anni fa.
Un rally super concentrato delle big tech può essere pericoloso per gli investitori, perché si ripercuote sui fondi e gli Etf che replicano i principali indici azionari di Wall Street, come l’S&P 500, e gli effetti possono essere pesanti, quando il sentiment cambierà. Alcuni numeri rendono chiara l’idea del rischio che si potrà correre. Apple, che è il titolo con la maggiore capitalizzazione negli Stati Uniti (2,8 mila miliardi di dollari a fine maggio 2023) ha contribuito al 17% del rendimento totale del Morningstar US large-mid index.
Un’altra grande protagonista è stata la società di semiconduttori, Nvidia, che con un guadagno del 159% nella prima parte dell’anno, ha rappresentato il 7,5% della performance complessiva.
Non dobbiamo andare troppo lontano per vedere che i destini di queste aziende possono cambiare. Sono proprio stati alcuni giganti tecnologici, come Microsoft, Apple e Nvidia che hanno gettato Wall Street in una fase Orso lo scorso anno.
Considerato che il bear market è cominciato il 4 gennaio 2022 ed è proseguito fino a metà ottobre, le società tecnologiche sono scese del 35,4% nel periodo, contribuendo per il 37% alla perdita complessiva dell’indice Morningstar US market.
Investitori spazientiti sulle questioni Esg
Per gli investitori, tuttavia, non c’è solo il problema della concentrazione dei rendimenti del listino americano. Siamo al termine della stagione assembleare negli Stati Uniti e gli azionisti delle big tech potrebbero perdere la pazienza di fronte a questioni di governance che rimangono irrisolte.
“I meeting annuali di Amazon, Meta Platform e Alphabet sono gli ultimi della proxy season americana – spiega Lindsey Stewart, director of investment stewardship research di Morningstar – Tuttavia, gli investitori si rimangono determinati nel protestare su temi quali le nomine dei consiglieri di amministrazione, gli stipendi dei dirigenti, le classi di azioni multiple e i rischi sociali. Da queste assemblee possiamo trarre indicazioni importanti su cosa gli asset manager pensano dei rischi etici e sociali che l’innovazione tecnologica pone”.
Durante l’assemblea generale di Amazon, il 38% degli azionisti “indipendenti”, ossia escludendo le quote del fondatore, Jeff Bezos, e degli altri membri del consiglio di amministrazione, ha votato contro la risoluzione sui compensi dell’alta dirigenza, perché considerati disallineati rispetto alle performance aziendali. L’opposizione ha riguardato anche alcuni dirigenti ritenuti responsabili di non aver prestato sufficiente attenzione al problema.
In Alphabet, lo scorso 2 giugno, gli azionisti indipendenti hanno espresso il dissenso per problematiche simili a quelle di Amazon. In particolare, il 40% ha mostrato la sua contrarietà alla rielezione del presidente, John Hennessy, e si è opposto anche alla conferma di altri consiglieri.
In base all’analisi di Morningstar sulle motivazioni alla base del voto contrario di diverse società di gestione, sono emerse due ragioni fondamentali:
1) I membri del consiglio di amministrazione rivestono da troppo tempo la posizione per poter rimanere indipendenti.
2) I rapporti di genere sono insufficienti perché ci sono solo tre donne su 11 consiglieri nel Cda.
Per quanto riguarda gli stipendi dei dirigenti di Alphabet, ha votato contro circa l’80% degli azionisti indipendenti.
Non ha avuto un meeting più tranquillo Marck Zuckerberg, perché l’opposizione media degli indipendenti alla rielezione di diversi membri del board di Meta Platform (Facebook) è stata del 20%. La stessa conferma nel Cda del presidente e amministratore delegato della società, Zuckerberg, ha visto il voto contrario di oltre un quarto degli azionisti.
Un’azione, un voto per le big tech
Agli investitori non piace neppure la struttura multipla delle classi di azioni in alcune grandi società tecnologiche, come Meta e Alphabet, che permette ai fondatori di controllarle con una quota piccola del capitale. La richiesta, già formulata l’anno scorso e confermata con largo consenso quest’anno, è di passare a un sistema “un’azione, un voto”.
“I fondatori delle due società non mostrano alcun segno di voler cedere”, ammette Stewart, “quindi la battaglia sulla struttura azionaria sembra per il momento in una situazione di stallo. C’è una forte probabilità che vedremo le stesse risoluzioni nel 2024 con risultati simili”.
Gli investitori chiedono di più sulle questioni sociali
Gli asset manager sono risoluti nel continuare a battersi anche per alcune questioni sociali, come i diritti umani e la privacy, perché sono preoccupati delle possibili multe che le aziende potrebbero dover pagare per la violazione di regolamentazioni sempre più stringenti e per le conseguenze sulla società di alcune pratiche, come ad esempio le pubblicità mirate, le discriminazioni di genere o razziali dovute all’uso di algoritmi, oppure gli standard di sicurezza online, con particolare riferimento ai bambini.
“C’è stata molta enfasi sulla polarizzazione delle opinioni negli Stati Uniti su alcuni temi Esg, come il cambiamento climatico o la diversità, l’equità e l’inclusione. Tuttavia, i voti su diverse risoluzioni presso le società big tech dimostrano che sulla governance e su argomenti ad alto impatto sociale, c’è molto su cui gli investitori possono essere d’accordo”, conclude Stewart.
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