Ardeshir Tabrizi, l’eco pop delle miniature persiane

Teresa Scarale
Teresa Scarale
1.12.2022
Tempo di lettura: 3'
La Galleria Poggiali ospita nella sua sede milanese la prima personale in Europa dell’artista iraniano-statunitense che sovrappone simboli per aprire porte. Lo abbiamo incontrato in occasione dell'inaugurazione della mostra

Fuori piove. C’è il primo freddo intenso dell’autunno milanese. Dentro, in mezzo al bianco austero d’ordinanza, il sole a stelle e strisce della California, con l’eco ancestrale della cultura indo-persiana. «Appena prima della pandemia ho fatto un viaggio in India. Storicamente è noto che ci furono flussi migratori dalla Persia al subcontinente indiano. Comprendo che muovendosi in queste stanze, ciò che salta all’occhio è l’affinità delle opere esposte con le miniature persiane». Le stanze sono quelle della sede di Milano della Galleria Poggiali, in Foro Buonaparte; chi parla è Ardeshir Tabrizi (n. 1981, Teheran), protagonista negli spazi della galleria con la sua prima personale europea Otherworlds (visitabile fino al 7 gennaio 2023). Tabrizi vive negli Usa, a Los Angeles, dall’età di 4 anni, quando la famiglia fuggì dall’Iran. Lo incontriamo nel giorno dell’inaugurazione della mostra, a novembre.

Le sue quotazioni al momento partono da poche migliaia di euro per le opere di minori dimensioni, fino ad arrivare a circa 40.000, ci dicono. La “non disponibilità” all’acquisto di molti pezzi in esposizione fa capire che sono già state vendute.

 

Le opere di questa personale trasudano da ogni poro un forte legame con le proprie radici culturali. «In realtà fino ai miei 30 anni ero molto addentro la cultura americana, all’hip hop… Non mi curavo affatto delle mie origini. Ma con il progredire degli anni questo bisogno si è fatto più urgente. Sentivo di essere in un periodo di eccesso creativo e allo stesso tempo nessun mio lavoro mi sembrava buono. Non ero soddisfatto. A un certo punto mi imbatto in questo video in cui una signora insegna a ricamare con l’antica tecnica persiana del suzandozi». È l’illuminazione: Tabrizi comincia a esplorare questo mezzo, mescolandolo con i molti altri che padroneggia: «Ho iniziato a scavare. Nel contemporaneo, nella mia storia, nella mia cultura».

 

I lavori esposti alla Galleria Poggiali sono tutti inediti e presentano una sovrapposizione di elementi con i quali ripensare la storia e il futuro. Miniature indiane, icone persiane, immagini contemporanee iraniane e fotografie della famiglia dell’artista si giustappongono a creare possibilità di nuove coesistenze, nuovi linguaggi. «Per me la componente visuale della narrazione è la più importante», ci dice Ardeshir. Con quella contemplativa, aggiungiamo noi, necessaria per suggere il mistero di ogni quadro. Sostandovi davanti per un poco, ognuno ne rivela un altro. Come ad esempio i ritratti, dipinti secondo i canoni estetici persiani e destrutturati tramite griglie di colori vivaci. Il pop statunitense pavimenta la scoperta di questi mondi ancestrali, affatto intimoriti di dialogare con la contemporaneità.

 

La presenza umana nelle opere è delegata alla famiglia, simbolo universale dell’interconnessione umana primaria. Una figura archetipica, di cui chi osserva si può appropriare. Presente pure nel grande arazzo ecumenico (foto apertura) i cui ricami sono stati fatti anche dalla madre e dalla zia dell’artista, come egli stesso ci rivela.

«Con Otherworlds cerco di evidenziare un legame interculturale che già esiste. Il mio lavoro incorpora simboli e immagini importanti per persone provenienti da varie parti del mondo. Li sovrappongo in un fotogramma: nella mia produzione unisco simboli storici e paesaggi pieni di fili, dando a quelle immagini sacre significati nuovi ed espansi. Attraverso la manipolazione digitale, la pittura e il ricamo, posso utilizzare questo bagaglio culturale e crearne uno nuovo. (Il mio) non vuole essere un atto politico, quanto una documentazione di umanità e di guarigione».

Caporedattore Pleasure Asset. Giornalista professionista, garganica, è laureata in Discipline Economiche e Sociali presso l'Università Bocconi di Milano. Scrive di finanza, economia, mercati dell'arte e del lusso. In We Wealth dalla sua fondazione

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