Rosa o verdi? I diamanti più amati sono quelli sostenibili

17.3.2022
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Dopo lo scandalo dei diamanti insanguinati, oggi anche la gioielleria inizia a considerare la sostenibilità ambientale e sociale dei suoi manufatti. Lo domandano i giovani consumatori
Il nuovo colore dei diamanti preferiti dal mercato potrebbe ben presto non essere più il rosa o il blu, ma il verde. O, per lo meno, in senso figurato. Così come la finanza, anche il mondo della gioielleria si tinge infatti di green e apre le porte alla sostenibilità ambientale, sociale e di governance della catena, dall'approvvigionamento delle pietre alla loro lavorazione, fino alla commercializzazione dei preziosi creati. Secondo le stime del report The State of Fashion – Watches & Jewellery di Business of Fashion e McKinsey & Company, entro il 2025 tra il 20 e il 30% delle vendite di gioielleria globale (equivalenti a un valore tra i 70 e i 110 miliardi di dollari) sarà influenzato da considerazioni di sostenibilità. Un passo è tuttavia necessario per l'industria: valutare l'attenzione alle tematiche sostenibili non più solo come un fattore di mitigazione del rischio, ma anche come una vera e propria opportunità di costruire brand equity.
Ma quale l'impatto dell'industria del gioiello a livello ambientale e sociale? È sufficiente tornare indietro di appena trent'anni per il primo scandalo a livello globale legato ai cosiddetti “diamanti insanguinati”, estratti tra l'Angola, la Sierra Leone e la Repubblica Democratica del Congo, i cui proventi finanziarono l'approvvigionamento di armi nelle guerre civili che coinvolsero i paesi tra il 1989 e il 1999. Al di là delle implicazioni etiche, al momento l'estrazione e la lavorazione dei diamanti comportano significative conseguenze per l'ambiente. Secondo McKinsey, infatti, “per ogni carato di diamante estratto vengono mosse circa 250 tonnellate di terra: ai ritmi attuali, entro i prossimi 5 anni potrà quindi essere scavato l'equivalente di circa un monte Everest e mezzo. Ad occuparsi di tale lavoro è una manodopera che, in certe regioni, percepisce uno stipendio di appena 3 dollari al giorno”. Anche la lucidatura dei diamanti comporta danni ambientali considerevoli: “più nel preciso, l'emissione di circa 160 kilogrammi di co2 per carato. Se non mitigata, nei prossimi 5 anni l'industria potrebbe emettere circa 160-170 mega tonnellate di co2, l'equivalente dell'anidride carbonica prodotta in 12 mesi dallo stato di Singapore”.
Non sono solo i diamanti, tuttavia, a suscitare dubbi sulla sostenibilità del settore. Così come evidenziato da McKinsey, infatti, l'estrazione di 9 grammi d'oro genera circa 20 tonnellate di rifiuti speciali che, spesso, vengono riversati nelle acque per quantità superiori di circa 1,5 volte quelli emessi dalle città statunitensi ogni anno. Nel frattempo, anche l'estrazione dell'argento e pietre preziose, così come la coltivazione delle perle, oscura la trasparenza del comparto della gioielleria.
Sono i consumatori stessi a rivendicare tematiche di sostenibilità, notano i dirigenti delle principali società. Secondo McKinsey, circa il 31% degli acquirenti della generazione Z sarebbe infatti disposto a pagare un prezzo superiore per prodotti certificati come sostenibili e il 58% dei giovani consumatori che hanno acquistato oggetti di lusso nel 2019 ha affermato che l'attenzione alle questioni Esg è un aspetto importante nel proprio processo decisionale. “Tale consapevolezza da parte della domanda porterà le società del settore a impegnarsi attivamente nei prossimi cinque anni, al di là di vuoti slogan pubblicitari e meri tentativi di greenwashing” evidenzia lo studio.
Dai diamanti insanguinati ai diamanti sostenibili
Ma quale l'impatto dell'industria del gioiello a livello ambientale e sociale? È sufficiente tornare indietro di appena trent'anni per il primo scandalo a livello globale legato ai cosiddetti “diamanti insanguinati”, estratti tra l'Angola, la Sierra Leone e la Repubblica Democratica del Congo, i cui proventi finanziarono l'approvvigionamento di armi nelle guerre civili che coinvolsero i paesi tra il 1989 e il 1999. Al di là delle implicazioni etiche, al momento l'estrazione e la lavorazione dei diamanti comportano significative conseguenze per l'ambiente. Secondo McKinsey, infatti, “per ogni carato di diamante estratto vengono mosse circa 250 tonnellate di terra: ai ritmi attuali, entro i prossimi 5 anni potrà quindi essere scavato l'equivalente di circa un monte Everest e mezzo. Ad occuparsi di tale lavoro è una manodopera che, in certe regioni, percepisce uno stipendio di appena 3 dollari al giorno”. Anche la lucidatura dei diamanti comporta danni ambientali considerevoli: “più nel preciso, l'emissione di circa 160 kilogrammi di co2 per carato. Se non mitigata, nei prossimi 5 anni l'industria potrebbe emettere circa 160-170 mega tonnellate di co2, l'equivalente dell'anidride carbonica prodotta in 12 mesi dallo stato di Singapore”.
L'impatto ambientale di oro, perle e pietre preziose
Non sono solo i diamanti, tuttavia, a suscitare dubbi sulla sostenibilità del settore. Così come evidenziato da McKinsey, infatti, l'estrazione di 9 grammi d'oro genera circa 20 tonnellate di rifiuti speciali che, spesso, vengono riversati nelle acque per quantità superiori di circa 1,5 volte quelli emessi dalle città statunitensi ogni anno. Nel frattempo, anche l'estrazione dell'argento e pietre preziose, così come la coltivazione delle perle, oscura la trasparenza del comparto della gioielleria.
La domanda di gioielli sostenibili arriva dai più giovani
Sono i consumatori stessi a rivendicare tematiche di sostenibilità, notano i dirigenti delle principali società. Secondo McKinsey, circa il 31% degli acquirenti della generazione Z sarebbe infatti disposto a pagare un prezzo superiore per prodotti certificati come sostenibili e il 58% dei giovani consumatori che hanno acquistato oggetti di lusso nel 2019 ha affermato che l'attenzione alle questioni Esg è un aspetto importante nel proprio processo decisionale. “Tale consapevolezza da parte della domanda porterà le società del settore a impegnarsi attivamente nei prossimi cinque anni, al di là di vuoti slogan pubblicitari e meri tentativi di greenwashing” evidenzia lo studio.
Da Swarovski a Tiffany & Co., la risposta delle società
In questo contesto, come si stanno muovendo le principali aziende? Swarovski, ad esempio, afferma che il 35% dell'energia utilizzata nei suoi impianti di produzione proviene da fonti rinnovabili. Pandora, invece, a maggio 2021 ha annunciato la decisione di non utilizzare più diamanti estratti naturalmente, ma solo pietre coltivate artificialmente in laboratorio. Tuttavia, alcuni operatori del settore hanno evidenziato che tale approccio potrebbe mettere in pericolo il sostentamento di migliaia di lavoratori africani, mentre la creazione di diamanti sintetici sfrutterebbe più energia rispetto alla lavorazione di quelli naturali. Tiffany & Co., infine, ha lanciato una nuova linea di prodotti realizzati in oro riciclato e ha stabilito nuove linee guida interne nella certificazione della provenienza dei materiali utilizzati, diventando la prima società di gioielleria di lusso a rendere obbligatoria la disclosure per diamanti superiori a 0,18 carati, oltre ad aver stabilito target stringenti nella riduzione delle emissioni di carbonio.