Disconoscimento opera arte, quali rimedi? Parte II

Non è, purtroppo, così raro che un collezionista, o il suo erede, si trovi dinnanzi ad un giudizio di non autenticità di un’opera d’arte della sua collezione o della collezione ereditata.
Nel precedente capitolo abbiamo esaminato la possibilità per un’artista di disconoscere la propria opera, ma in questo capitolo esaminiamo anche lo scenario di un disconoscimento dell’opera da parte degli archivi dell’artista.
Per questo bisogna fare un passo indietro.
Il mercato dei giorni nostri è chiamato ad affrontare le conseguenze derivanti di anni di mercato dove l’onorabilità della parola data era sufficiente alla conclusione di una compravendita di opere d’arte e dove l’artista stesso regalava con estrema facilità le proprie opere ad amici o in cambio di un pagamento in denaro, senza fornire alcun attestato di autenticità poiché, al tempo e agli occhi dell’artista, non costituiva un elemento necessario atteso che era stato l’artista stesso a consegnare l’opera.
Ebbene, quali strumenti ha in mano un collezionista di fronte al disconoscimento di un’opera d’arte?
Innanzi tutto, è bene distinguere due situazioni, entrambe dinnanzi al giudice civile: la prima in cui il collezionista chiama in giudizio solo l’artista o l’archivio d’artista per aver disconosciuto l’opera di sua proprietà, la seconda in cui il collezionista oltre all’artista o al suo archivio chiama in giudizio anche la galleria o il mercante che ha concluso la vendita dell’opera dichiarata non autentica.
Il primo scenario vede il collezionista affrontare l’artista o l’archivio d’artista per resistere alla dichiarazione di disconoscimento dell’opera, limitando le possibilità dell’artista di disconoscere l’opera solo per l’esistenza di una grave ragione morale sofferta dall’artista, che se accertata, comporterebbe in capo all’artista il conseguente riconoscimento del pagamento di un’indennità in capo al proprietario dell’opera o dei diritti sulla stessa, ovvero citare in giudizio l’archivio d’artista al fine di far dichiarare l’opera autentica dal Giudice.
Il secondo scenario, invece, vede il collezionista presentare la richiesta per la caducazione degli effetti del contratto di compravendita, chiedendo, in via principale, la risoluzione del contratto per consegna di aliud pro alio (art. 1453 c.c) e il conseguente risarcimento del danno, ed in via subordinata l’annullamento del contratto, posto che l’autenticità dell’opera sia stata implicitamente o esplicitamente pattuita o sia stata garantita.
Già nel 1993, la Suprema Corte ha definitivamente affermato che la “rilevanza della effettiva paternità dell’opera non può essere astrattamente negata, ma deve essere di volta in volta stabilita in base al contenuto del contratto e a seconda che tale paternità sia stata espressamente o anche solo implicitamente, ma inequivocabilmente indicata, assumendo la funzione di elemento decisivo di identificazione dell’oggetto o di una sua qualità essenziale o sia stata invece solo supposta dall’una o dall’altra parte assumendo il carattere di elemento incidente sul processo di formazione di volontà negoziale”. Nel caso di specie, l’acquirente a cui era stato garantito che la tela da lui acquistata fosse di mano di Agostino Carracci, pittore emiliano del 1500, aveva poi appurato tramite degli esperti, che questa non fosse in realtà autentica.
Difatti, i giudici di seconda istanza e, conformemente, la Corte di Cassazione hanno ritenuto che l’autenticità dell’opera costituisse un elemento decisivo di identificazione del bene oggetto della vendita, configurandosi la fattispecie di acquisto aliud pro alio.
La sopracitata sentenza della Suprema Corte è andata così a consacrare l’autenticità dell’opera come connotato essenziale di identificazione e qualificazione del bene. Ciò, in concreto, consente al collezionista di ottenere la risoluzione del contratto di vendita di un’opera d’arte ogniqualvolta la non autenticità della stessa possa configurarsi come una mancanza delle qualità essenziali o promesse ovvero come consegna di aliud pro alio.
In caso di risoluzione di un contratto di vendita per inadempimento del venditore per aliud pro alio, questi è tenuto a restituire sia il c.d. danno emergente, cioè le somme ricevute con gli interessi legali a decorrere dal giorno in cui le stesse somme gli furono consegnate dall’acquirente (Cass. civ. 22.02.2008, n.4604) sia il c.d. lucro cessante, cioè il risarcimento dell’eventuale plusvalenza laddove il quadro, se autentico, avrebbe conseguito nel tempo un maggior valore.
L’eventuale difficoltà di tradurre quest’ultima in un ammontare preciso non può di per sé escludere tale risarcimento, come confermato dalle corti.
In particolare la Corte di Cass. civ. con sentenza del 14.11.2019 n. 29566, ha ritenuto che “in ordine alla prevedibilità del danno da lucro cessante, riportato dall’acquirente di un quadro di autore, rivelatosi non autentico, va valutata la perdita dell’incremento di valore di mercato, rispetto al prezzo di acquisto versato di un quadro autentico dello stesso pittore, avente le medesime caratteristiche di quello risultato falso, valorizzando tra l’altro, la circostanza che lo stesso venditore, pur assicurando l’incremento di valore dell’opera con il tempo, non aveva provveduto a fornire il certificato di autenticità”.
Tuttavia, seppur vi sono dei rimedi nelle mani del collezionista questi potrebbero non liberare del tutto l’opera dichiarata non autentica da un’ombra sul proprio pedigree.
Qui la prima parte dell'articolo.
Agostino Carracci, Pietà, Museo Ermitage