Achille Maramotti e l'arte del paltò impeccabile

5.2.2021
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Signore del «pronto da vestire», Achille Maramotti dalla rossa Emilia portò lo stile borghesemente volitivo di Max Mara sul tetto del mondo, sapendo coglierne le spie del cambiamento. Nel nome DEL cappotto. E di una collezione d'arte fra le più avanguardiste del secondo Novecento
L'auto sfreccia sulla A1, fra Reggio Emilia e Bologna. Il paesaggio è nebbioso, umido. Le striature grigiastre dell'aria lasciano intuire operosità, più che creatività. Campi agricoli, capannoni, allevamenti. Solchi, filari, fontanili. Tranquilli aggregati urbani di provincia. Orizzonti piatti e colori vaghi, che l'obiettivo di Luigi Ghirri intercettava in linee pacate e meditative. Pochi immaginerebbero che in questa terra così lontana dal glamour nasceva nel dopoguerra (era il 1951) ad opera di Achille Maramotti (1927-2005) la storia di Max Mara, il “gigante silenzioso” del sistema-moda. Marchio sinonimo di eleganza, coerenza, sobrietà con carattere e di… cappotto.
Si, perché il brand ammiraglio del gruppo Maramotti si è guadagnato la riconoscibilità nei mercati internazionali dell'abbigliamento grazie al capospalla per eccellenza. Un prodotto di tale qualità estetico-materica da guadagnarsi a più riprese la benedizione della compianta ex direttrice di Vogue Italia Franca Sozzani, per la quale i cappotti Max Mara avevano sempre «tessuti e tagli perfetti». Oggi, il gruppo del paltò per antonomasia conta 23 marchi, 41 società, 2500 negozi monomarca, 5600 dipendenti, e un business che non conosce crisi.
Si, perché il brand ammiraglio del gruppo Maramotti si è guadagnato la riconoscibilità nei mercati internazionali dell'abbigliamento grazie al capospalla per eccellenza. Un prodotto di tale qualità estetico-materica da guadagnarsi a più riprese la benedizione della compianta ex direttrice di Vogue Italia Franca Sozzani, per la quale i cappotti Max Mara avevano sempre «tessuti e tagli perfetti». Oggi, il gruppo del paltò per antonomasia conta 23 marchi, 41 società, 2500 negozi monomarca, 5600 dipendenti, e un business che non conosce crisi.

Uno dei paltò più emblematici del gruppo di Achille Maramotti scivola addosso a una giovanissima Carla Bruni
Il giovane Achille lascia che siano le donne di famiglia a indicargli la strada della sartoria. Sua madre Giulia Fontanesi aveva una scuola di taglio e cucito. Sua nonna Marina Rinaldi (dice niente questo nome?) era proprietaria di una boutique a Reggio Emilia. La ragione sociale Max Mara deriva dal diminutivo del suo cognome preceduto dal beneaugurante e deciso “Max”. E Achille Maramotti può definirsi a buon diritto l'inventore del pret-à-porter italiano. Per la produzione si ispirò subito ai processi industriali americani. Lo fece coniugandovi la sua capacità di percepire le tendenze socio-culturali che di lì a poco avrebbero dato vita a quella che oggi chiamiamo moda.
Fuori dall'incubo del fascismo, l'Italia desiderava modernità e benessere. Già nel 1952 Achille amplia l'attività. I dipendenti, da un paio che erano nel 1951, diventano 40. Nel 1955 salgono a 200. A soli sei anni dalla fondazione della sua impresa, Maramotti vola a New York. Vi tornerà in pieno boom economico, nel 1963. Dagli Usa importa la fabbricazione industriale, la scomposizione dei processi produttivi e l'intuizione di Sportmax (1969), linea che guarda allo sportswear, a donne dalla fisicità nuova, alla moda della Swinging London. La Rinascente di Milano ha fatto in tempo a celebrare l'anniversario del marchio nel 2019, con otto vetrine colorate e dal sapore geometrico, ideate dal regista teatrale Robert Carsen (Toronto, 1954).
Fuori dall'incubo del fascismo, l'Italia desiderava modernità e benessere. Già nel 1952 Achille amplia l'attività. I dipendenti, da un paio che erano nel 1951, diventano 40. Nel 1955 salgono a 200. A soli sei anni dalla fondazione della sua impresa, Maramotti vola a New York. Vi tornerà in pieno boom economico, nel 1963. Dagli Usa importa la fabbricazione industriale, la scomposizione dei processi produttivi e l'intuizione di Sportmax (1969), linea che guarda allo sportswear, a donne dalla fisicità nuova, alla moda della Swinging London. La Rinascente di Milano ha fatto in tempo a celebrare l'anniversario del marchio nel 2019, con otto vetrine colorate e dal sapore geometrico, ideate dal regista teatrale Robert Carsen (Toronto, 1954).

La prima fabbrica di Max Mara a Reggio Emilia, Achille Maramotti, alcuni capi di una collezione Sportmax
Sotto l'ombrello del gruppo, marchi come Sportmax, Sportmax Code, Weekend Max Mara, 'S Max Mara, Max & Co, Marella, Emme Marella, Pennyblack, Persona, iBlues, Marina Rinaldi. Il patrimonio familiare dei Maramotti è stimato intorno ai quattro miliardi di euro. La famiglia è inoltre azionista storica di maggioranza nel Credito Emiliano. Si tratta tuttavia solo di un lato della medaglia. Come a volte accade, a tanto alacre lavoro e genio imprenditoriale fa da contraltare un mecenatismo tenace e anticipatore delle tendenze di un altro mercato, quello dell'arte. È il caso di Achille Maramotti. Il capitano d'impresa accumulò in cinquant'anni (dagli anni Cinquanta ai primi Duemila), con intuito e generosità, una collezione privata di arte contemporanea da molti considerata la migliore nel suo genere.
Collezione Maramotti apre al pubblico nel 2007, nel vecchio stabilimento industriale Max Mara a Reggio Emilia, ideale lascito culturale del suo fautore. Si compone di oltre 200 opere realizzate dal 1945, e raccoglie le tendenze artistiche internazionali più importanti della seconda metà del XX secolo. Un esempio unico nel panorama del collezionismo privato italiano. La collezione permanente è il fulcro attorno a cui ruotano attività collaterali ma vitalizzanti come conversazioni a tema, presentazioni di libri d'artista, concerti, spettacoli di danza e mostre temporanee.
Collezione Maramotti apre al pubblico nel 2007, nel vecchio stabilimento industriale Max Mara a Reggio Emilia, ideale lascito culturale del suo fautore. Si compone di oltre 200 opere realizzate dal 1945, e raccoglie le tendenze artistiche internazionali più importanti della seconda metà del XX secolo. Un esempio unico nel panorama del collezionismo privato italiano. La collezione permanente è il fulcro attorno a cui ruotano attività collaterali ma vitalizzanti come conversazioni a tema, presentazioni di libri d'artista, concerti, spettacoli di danza e mostre temporanee.
L'ultima, a cavallo fra il 2020 e il 2021, è emblematica dello spirito precursore di Achille Maramotti. È dedicata alla creazione visionaria del torinese Carlo Mollino (1905-1973), architetto, esteta, intellettuale, fotografo, designer, pilota. Un nome che il collezionismo internazionale ha scoperto e iniziato a mitizzare in tempi recenti. È proprio di Mollino il tavolo da pranzo battuto da Sotheby's lo scorso ottobre 2020 per 6,2 milioni di dollari. Aperta il 4 ottobre 2020, la mostra Mollino/Insights – Enoc Perez, Brigitte Schindler si concluderà il 16 maggio 2021.
La scelta dei due artisti contemporanei – apparentemente molto distanti fra loro – si deve al loro comune interesse verso la complessa personalità di Carlo Mollino e la sua misteriosa “Casa” torinese, mai abitata. Enoc Perez, portoricano newyorkese d'adozione, è già presente nella collezione permanente dei Maramotti. L'artista padroneggia la materia pittorica delle immagini tratte da Casa Mollino con una consistenza fantasmatica, fino a renderle ultra-dimensionali e oniriche. Brigitte Schindler, fotografa tedesca, riesce a captare prospettive inedite degli interni dell'abitazione, restituendone la composizione accurata ed enigmatica. L'architetto non racconta con le parole, lo fa con la materia. E i due artisti lo sanno cogliere.
La scelta dei due artisti contemporanei – apparentemente molto distanti fra loro – si deve al loro comune interesse verso la complessa personalità di Carlo Mollino e la sua misteriosa “Casa” torinese, mai abitata. Enoc Perez, portoricano newyorkese d'adozione, è già presente nella collezione permanente dei Maramotti. L'artista padroneggia la materia pittorica delle immagini tratte da Casa Mollino con una consistenza fantasmatica, fino a renderle ultra-dimensionali e oniriche. Brigitte Schindler, fotografa tedesca, riesce a captare prospettive inedite degli interni dell'abitazione, restituendone la composizione accurata ed enigmatica. L'architetto non racconta con le parole, lo fa con la materia. E i due artisti lo sanno cogliere.

Dalla prima in alto a sinistra, in senso orario. Luigi Ghirri, Cadecoppi - Dalla strada per Finale Emilia, 1986; Swinging London, 1967; Piazza San Carlo, a Torino, negli anni del Boom economico; Luigi Ghirri, Fidenza 1985
La collezione Maramotti è un altro tesoro nascosto negli spazi sfumati della Bassa padana, subregione che è patria della grande fotografia italiana. Dal pensiero-paesaggio di Luigi Ghirri e Guido Guidi alle immensità cromatiche allineate di Franco Fontana, passando per le vertigini di Olivo Barbieri. La Terra, l'Emilia, la Luna, cantava qualche anno fa Vasco Brondi/Le luci della centrale elettrica. Fra strade sterrate e territori piatti la luna può galleggiare. E la creatività stilistica svilupparsi indisturbata. Anche quella imprenditoriale.

Luigi Ghirri, Cittanova di Modena, 1985. © Eredi di Luigi Ghirri – Courtesy Fondo di Luigi Ghirri