Vico Magistretti, designer senza ombrello

9.4.2021
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Milanese di nascita e di spirito, Vico Magistretti ha segnato sessant'anni di storia dell'architettura italiana ed è stato tra i padri dell'Italian Style mentre il Paese cambiava. Iconici i suoi progetti da designer, in una carriera onorata da triennali e compassi d'oro
“Disegno la Milano che cambia”, intitolava su di lui un articolo de La Repubblica del gennaio 1985. Ma nei sessant'anni di carriera, più che la città simbolo del fermento dell'Italian Design, Vico Magistretti ha ridisegnato gli interni delle case di migliaia di italiani, assicurandosi di trasportarle nella modernità, sempre all'insegna di semplicità e funzionalità. Così lampade, divani, sedie e letti, centinaia tra gli oggetti più comuni di sempre, hanno trovato nuova vita grazie alla matita di Magistretti.
“Io ho fatto tante case a Milano”, ricordava l'architetto in un'intervista per la celebre azienda produttrice di mobili e complementi d'arredo De Padova. “Quando la gente sceglie di abitare in una delle case che ho progettato, ci va perché è di 2 locali, 3 locali, ha 2 bagni, è vicina o lontana dall'ufficio, poi, quando esce di casa, in genere non sa neanche di che colore sia all'esterno. Però, se va in un negozio e prende la mia lampada, allora vuol dire che il suo ragionamento è stato: “ma guarda che scemata, è di una semplicità, avrei potuto farla io”, che è il più bel complimento che io possa ricevere. Entra, la compra, la paga, la porta a casa, influenzerà in qualche modo la sua vita, se gli piace è perché ha intuito che là dentro c'è qualche cosa, che poi è la semplicità, la cosa più complicata del mondo”. Nascono così capolavori come, tra gli altri, le lampade Eclisse e Atollo per Artemide e Oluce, il letto Nathalie per Flos, il divano Maralunga e la sedia Carimate 892, entrambi per Cassina.
“Io ho fatto tante case a Milano”, ricordava l'architetto in un'intervista per la celebre azienda produttrice di mobili e complementi d'arredo De Padova. “Quando la gente sceglie di abitare in una delle case che ho progettato, ci va perché è di 2 locali, 3 locali, ha 2 bagni, è vicina o lontana dall'ufficio, poi, quando esce di casa, in genere non sa neanche di che colore sia all'esterno. Però, se va in un negozio e prende la mia lampada, allora vuol dire che il suo ragionamento è stato: “ma guarda che scemata, è di una semplicità, avrei potuto farla io”, che è il più bel complimento che io possa ricevere. Entra, la compra, la paga, la porta a casa, influenzerà in qualche modo la sua vita, se gli piace è perché ha intuito che là dentro c'è qualche cosa, che poi è la semplicità, la cosa più complicata del mondo”. Nascono così capolavori come, tra gli altri, le lampade Eclisse e Atollo per Artemide e Oluce, il letto Nathalie per Flos, il divano Maralunga e la sedia Carimate 892, entrambi per Cassina.

Un ritratto di Vico Magistretti, foto rilasciata dalla Fondazione Vico Magistretti
Una famiglia di architetti, una passione
Ludovico (per tutti Vico) Magistretti nasce a Milano nell'ottobre del 1920 sotto le stelle dell'architettura. È la professione del padre (Pier Giulio, che morirà prematuramente lasciando al figlio le redini dello studio in via Conservatorio, 20), del nonno e del bisnonno materno, Gaetano Besia, che negli anni Trenta dell'Ottocento aveva realizzato Palazzo Archinto, poi sede del Collegio Reale delle Fanciulle, ultimo esempio di architettura civile in stile tardo neoclassico a Milano.
Ma la professione dell'architetto, a Magistretti, non gli è imposta dall'alto. Intraprende gli studi classici al Liceo Parini, che gli insegnano “a distinguere, come concetto di base, quello che è assolutamente importante, anzi importantissimo, da quello che è meno importante, e quello che, ancora, può essere così così: per esempio, mettere il verbo in fondo, non è quello che conta, però ti dà l'idea che nella vita ci sono delle cose estremamente importanti e delle cose che seguono. Se hai sbagliato quella importante, tu puoi fare benissimo quelle che seguono, ma purtroppo non funziona. Questo è un insegnamento latino”.
Nel 1937 si iscrive al Politecnico di Milano. Durante la guerra riesce a spostare il suo corso di studi a Losanna, dove ha la fortuna di avere come maestro Ernesto Nathan Rogers, l'architetto triestino tra i fondatori dello studio BBPR, che dopo le leggi razziali aveva trovato rifugio nella città svizzera. Dopo la laurea a Milano nel 1945, Magistretti intraprende subito la carriera di architetto lavorando nello studio del padre, che morirà l'anno seguente, sotto l'ala di Paolo Chessa. Lavora per oltre sessant'anni nello stesso studio, nel palazzo costruito proprio dal padre anni prima. Al suo fianco per una vita, Franco Montella, “il disegnatore col camice”, come ricorda la designer Patricia Urquiola in un'intervista a Casa Vogue, a formare “una specie di coppia, quasi un fidanzamento buffo di lavoro: Montella era discreto, timido, un po' angelo, e Vico forte, severo, integro, fino all'osso”.
Vico Magistretti, dall'architettura al design
Nel 1947 partecipa alla prima di tante triennali, la VIII; la IX, nel 1951, gli varrà una medaglia d'oro, mentre la X, nel 1954, il Gran premio. Negli anni Cinquanta arrivano le prime commissioni importanti: il quartiere reduci d'Africa al QT8, insieme alla chiesa di Santa Maria Nascente (1953-55), sempre al QT8. Ma anche la torre al Parco in via Revere (1953-56), il palazzo per uffici in Corso Europa (1955-57). Fino agli anni Sessanta, con la realizzazione delle torri di piazzale Aquileia (1962-64), e altre numerose commissioni nella provincia milanese, come il Municipio di Cusano Milanino (1969).

Vico Magistretti e Franco Longoni, Torre del Parco, via Revere, Milano (1953-56). Foto di Paolo Monti

Vico Magistretti, Edificio per uffici in corso Europa a Milano, 1955-1957

Vico Magistretti, casa torre in piazzale Aquileia 8 (angolo via Lipari) a Milano, 1964-1965. Foto di Paolo Monti, 1965
Ma all'attività di architetto si affianca sin dai primi anni quella di designer, nella filosofia del “dal Cucchiaio alla Città”, uno slogan creato da Rogers che illustrava la complementarietà delle due figure negli anni della ricostruzione. Il primo, iconico, progetto è la sedia 892, prodotta da Cassina e realizzata per la Club House del Golf Club Carimate nel 1959. “C'erano a disposizione le sedie danesi, le sedie svedesi, ma costavano due miliardi l'una. Non si potevano avere… Mi ricordo che dissi “basta”, e così ho fatto una sedia da contadino che non ha niente a che vedere col design. È design forse, solo come suggerimento d'immagine”.
Seguono le due opere più iconiche, forse, dell'intera produzione di Magistretti, entrambe lampade. La prima è la Eclisse, realizzata per Artemide nel 1965, che vincerà il Compasso d'Oro due anni dopo. Sono gli anni della corsa allo spazio: il designer realizza una lampada da comodino che si articola in due gusci emisferici di metallo smaltato; quello all'interno può essere ruotato a modulare il fascio di luce, a ricordare la Luna e le sue fasi, che la rendono diversa da notte a notte. L'idea arriva sul metrò, uno schizzo sul biglietto: “in piazza Conciliazione a Milano, dopo un incontro di lavoro, mi è stato detto che tutti hanno un letto. Pensai bene di disegnare una lampada da notte. In metropolitana ho disegnato dietro un biglietto un ricordo dei Miserabili di Victor Hugo, la lampada dei ladri con fascio di luce regolabile. Ho telefonato a Ernesto Gismondi (il patron di Artemide, ndr) e gli ho descritto l'ipotesi di tre semisfere su un perno, diversa dalla lampada di Jean Valjean di Hugo, ma utile per leggere a letto”. Una lampada pensata per fare una luce “con la quale è bello far l'amore”, che “ha segnato, anche con le scottature sulle dita, qualche generazione”.
Due pezzi iconici: Eclisse e Atollo
Seguono le due opere più iconiche, forse, dell'intera produzione di Magistretti, entrambe lampade. La prima è la Eclisse, realizzata per Artemide nel 1965, che vincerà il Compasso d'Oro due anni dopo. Sono gli anni della corsa allo spazio: il designer realizza una lampada da comodino che si articola in due gusci emisferici di metallo smaltato; quello all'interno può essere ruotato a modulare il fascio di luce, a ricordare la Luna e le sue fasi, che la rendono diversa da notte a notte. L'idea arriva sul metrò, uno schizzo sul biglietto: “in piazza Conciliazione a Milano, dopo un incontro di lavoro, mi è stato detto che tutti hanno un letto. Pensai bene di disegnare una lampada da notte. In metropolitana ho disegnato dietro un biglietto un ricordo dei Miserabili di Victor Hugo, la lampada dei ladri con fascio di luce regolabile. Ho telefonato a Ernesto Gismondi (il patron di Artemide, ndr) e gli ho descritto l'ipotesi di tre semisfere su un perno, diversa dalla lampada di Jean Valjean di Hugo, ma utile per leggere a letto”. Una lampada pensata per fare una luce “con la quale è bello far l'amore”, che “ha segnato, anche con le scottature sulle dita, qualche generazione”.

Vico Magistretti, Lampada Eclisse per Artemide, 1965

Vico Magistretti, Lampada Atollo per Oluce, 1977
Segue Atollo, realizzata per Oluce nel 1977 e vincitrice del Compasso d'Oro nel 1979, emblema della lampada-scultura da tavolo, dell'essenzialità delle forme. Il segreto della sua bellezza “consiste probabilmente nella costruzione geometrica delle sue forme: il cono sul cilindro e sopra a tutto la semisfera. Scultura luminosa cui nulla è possibile togliere, nulla è possibile aggiungere. E che è impossibile imitare”, raccontava il collega Marco Romanelli. Ma anche del divano Maralunga, prodotto da Cassina nel 1973 (terzo Compasso d'Oro di Magistretti, nel 1979); della libreria 114 Nuvola Rossa del 1977, sempre per Cassina; del letto Nathalie, per Flou, del 1978; della sedia Maui, realizzata nel 1995 per Kartell.
Tra i più di 300 pezzi realizzati da Magistretti in totale, la maggior parte è ancora oggi in produzione. Uno manca all'appello delle sue creazioni, l'oggetto che il designer avrebbe voluto aver progettato: l'ombrello. “Penso che chi ha inventato l'ombrello sia straordinario”, ricordava egli stesso, per la sua semplicità, il suo niente, la sua tensione. Considerato l'architetto dell'essenzialità italiana, del “less is more” alla Mies van der Rohe, sovente ripeteva che “la semplicità è la cosa più complicata da ottenere, perché nel buon design come nell'architettura bisogna togliere, togliere, togliere”. Dopo una vita a realizzare e insegnare architettura, Magistretti si spegne a Milano nel settembre 2006. Dal 2010, la Fondazione Vico Magistretti, su volontà della figlia Susanna, accoglie i visitatori e i curiosi appassionati nelle stanze di quello studio che lo vide ogni giorno per una vita, le finestre al piano terra con vista sulla chiesa di Santa Maria della Passione e del Conservatorio della “sua” Milano.
Vico Magistretti, una vita per l'essenzialità
Tra i più di 300 pezzi realizzati da Magistretti in totale, la maggior parte è ancora oggi in produzione. Uno manca all'appello delle sue creazioni, l'oggetto che il designer avrebbe voluto aver progettato: l'ombrello. “Penso che chi ha inventato l'ombrello sia straordinario”, ricordava egli stesso, per la sua semplicità, il suo niente, la sua tensione. Considerato l'architetto dell'essenzialità italiana, del “less is more” alla Mies van der Rohe, sovente ripeteva che “la semplicità è la cosa più complicata da ottenere, perché nel buon design come nell'architettura bisogna togliere, togliere, togliere”. Dopo una vita a realizzare e insegnare architettura, Magistretti si spegne a Milano nel settembre 2006. Dal 2010, la Fondazione Vico Magistretti, su volontà della figlia Susanna, accoglie i visitatori e i curiosi appassionati nelle stanze di quello studio che lo vide ogni giorno per una vita, le finestre al piano terra con vista sulla chiesa di Santa Maria della Passione e del Conservatorio della “sua” Milano.